Rating Fitch: un più che non cancella i nostri meno

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Umberto Baldo
Fitch ci fa la grazia: da BBB a BBB+ con outlook stabile. Una mezza stellina in più, giusto quella che alla primaria ti metteva la maestra sul quaderno quando non poteva proprio darti un otto, ma voleva incoraggiarti a non mollare. E noi, 60 milioni di adulti con un debito mostruoso, ci comportiamo come bambini felici per l’adesivo con il sorriso.
Siamo fatti così: ci emozioniamo per un “più” accanto al voto in pagella, come scolari rimandati che si vedono promossi col sei stiracchiato.
Le altre agenzie sono allineate: Standard & Poor’s BBB+ stabile, Morningstar DBRS BBBH positivo, Scope BBB+ stabile, Moody’s Baaa3 positivo.
Quel “+” può sembrare una differenza minima, ma non succedeva dal dicembre 2021.
Il vantaggio è chiaro: un rating migliore significa che i grandi investitori ci vedono meno rischiosi, e quindi lo Stato paga un po’ meno interessi sui Btp.
Tanto basta per far esultare Giorgia Meloni.
Peccato che la stessa Meloni, fino a qualche anno fa, definiva le agenzie di rating “pagliacci camuffati da inquisitori che profetizzano cose già acccadute”, e “piene di conflitti d’interessi e corresponsabili di una crisi sistemica mondiale””
Testuale: il 27 ottobre 2018 scriveva: “Anche S&P ha detto la sua. Un pronostico sull’economia italiana attendibile come le previsioni di una cartomante. Ora speriamo di non dover perdere altro tempo appresso a queste inutili agenzie di rating”.
Insomma, ieri le Agenzie erano ciarlatani da fiera, oggi sono diventati oracoli degni di Delfi. Evidentemente hanno fatto il miracolo della transustanziazione politica: da cartomanti a numi tutelari del debito.
È la solita storia della politica tricolore: quando sei all’opposizione sputi sui rating, quando governi te li appendi al petto come medaglie.
In ogni caso, un plauso a Giorgetti va riconosciuto: in questi tre anni ha saputo tenure la barra dritta, e non è una cosa da poco viste le naturali propensioni alla spesa pubblica di tutti i politici, nessuno escluso.
Ma guai a pensare che basti un “+” per dirci fuori pericolo.
Tanto per restare con i piedi ben attaccati alla terra giova, ricordare che la lettera “B”, in tutte le sue varianti, resta pur sempre ad un passo dal debito “spazzatura”.
Ed infatti i numeri fanno tremare i polsi: il nostro debito è al 135% del Pil, mentre la media dei Paesi con rating BBB è al 57,3%. Noi il doppio, praticamente. È come se uno con due mutui sulle spalle si vantasse perché la Banca gli ha alzato di mezzo punto il fido: motivo di sollievo momentaneo, ma sempre indebitato fino al collo rimane.
Quindi nel mentre è doveroso riconoscere che la strada imboccata sembra essere quella giusta, al contempo non bisogna dimenticare che la situazione italiana presenta ancora molte ombre, e che tante cose restano da fare.
E vediamole queste cosa da fare.
La produzione industriale?
A luglio un timido segnale positivo, ma nei primi sette mesi del 2025 resta in calo rispetto allo stesso periodo del 2024. La strada è ancora lunga.
Ma il vero nodo sta altrove: Stato e Pubblica Amministrazione.
Ho già avuto modo di intrattenervi nei giorni scorsi (https://www.tviweb.it/quando-lo-stato-e-la-burocrazia-funzionano-madrid-insegna-roma-annaspa/) sulle motivazioni che rendono ad esempio la Spagna molto più attrattiva dell’Italia per gli stranieri che intendono investire in nuove imprese.
E sulla base di quelle osservazioni capite bene che il problema per noi restano sempre le Riforme, promesse da decenni da ogni Governo, ed in realtà mai attuate.
Forse a qualcuno sfugge che 200 dei miliardi giunti da Bruxelles nell’ambito del Pnrr erano finalizzati proprio agli interventi (chiamiamoli pure riforme) atti a migliorare la produttività del “Sistema Italia”.
Ma questo si può fare solo con azioni pesanti nel comparto pubblico, a partire dalla “riforma della burocrazia”, che è come l’araba fenice; tutti dicono che esiste, ma nessuno l’ha mai vista.
La riforma fiscale è in qualche modo iniziata, ma a mio avviso finora si è intervenuti a pezzi, spesso a favore di categorie politicamente amiche del Governo, senza cioè una visione di insieme, e soprattutto senza una vera strategia atta a ridurre (non dico azzerare) evasione ed elusione fiscale.
Dopo i primi anni di impegno verso i cittadini meno abbienti (ormai buona parte dei redditi bassi l’Irpef non la paga proprio!), sembra che quest’anno la Meloni, che non sarà Churchill ma sa annusare l’aria che tira, abbia deciso che sia la volta del ceto medio.
Una mossa elettorale astuta, considerando che anche dal punto economico la riduzione dell’aliquota dal 35 al 33% promessa dal Governo può dare una spinta dal lato della domanda interna
Ma attenzione: se intanto tornano bonus, sostegni a pioggia, condoni e marchette alle corporazioni amiche, addio riforma seria.
Panem et circenses: funziona in politica, non in economia.
La giustizia?
Altro disastro. Si litiga da lungo tempo sulla divisione delle carriere, in vista di un referendum, mentre i processi continuano a durare una vita.
In Spagna una causa civile-commerciale chiude in 257 giorni, da noi in 527.
E da loro le sentenze sono esecutive già dal primo grado; qui invece serve il rosario della Cassazione.
Da noi un processo dura tanto che a volte ti viene il dubbio che la vera pena non sia la condanna, ma l’attesa del verdetto. Alla faccia della “certezza del diritto”.
Ecco perché un investitore straniero che fa bene i propri conti (compreso quello del costo dell’energia) sceglie Madrid, non Roma.
E i numeri parlano chiaro: la Spagna cresce nel 2025 del +2,7%, l’Italia arranca attorno al +0,5%.
Ma non è che in altri settori cruciali vada poi tanto meglio.
La Sanità vedeil Servizio Sanitario Nazionale sempre più in affanno, la Scuola sempre in basso nelle classifiche Ocse, la Burocrazia da incubo.
Basti ricordare la “saga” dei passaporti negli ultimi anni. Ci hanno raccontato che il problema stava nell’esplosione delle richieste dopo la pausa forzata del Covid. Ma gli altri Paesi europei non hanno avuto anche loro il Covid? Eppure da loro non è successo nulla, ed il normale rilascio di passaporti non ha subito ritardi.
Sottolineo sempre che la Carta di identità elettronica in Spagna te la consegnano seduta stante quando vai a richiederla.
Hanno voglia i nostri politici a sminuire, quando conviene loro, il ruolo delle Agenzie di Rating.
Ma è inutile girarci attorno: questi soggetti per dare le loro valutazioni non si limitano al freddo dato del debito pubblico (pur determinante), ma guardano anche all’andamento del Pil e quindi dell’ economia, oltre che alla produttività derivante dal funzionamento delle burocrazie pubbliche.
In conclusione, a fronte del miglioramento del rating di Fitch va benissimo qualche applauso, ma non è certo il caso di sparare fuochi d’artificio, perché il cammino è lungo ed ogni curva può nascondere un’insidia.
Alla fine la verità è quasi banale: se le Agenzie di rating ci promuovono, sono saggi custodi dell’economia mondiale; se ci bocciano, sono oscuri emissari della finanza internazionale.
Il termometro va bene solo quando segna la temperatura che ci piace.













