Progressività fiscale: il principio dimenticato. Tasse da nababbi, redditi da impiegati

Umberto Baldo
Per completare il discorso iniziato stamattina, a seguito delle osservazioni di qualche lettore, anche se è inusuale, ritengo utile fornire qualche ulteriore precisazione.
Partendo dalla consueta constatazione che in Italia basta poco per sentirsi miliardari.
Non nel portafoglio, intendiamoci, ma nel modo in cui lo Stato ti guarda.
Superi i 2.500 euro al mese? Complimenti: sei ufficialmente un “ricco”.
Benvenuto nel girone dell’aliquota massima, dove ogni euro guadagnato in più evapora quasi per metà sotto forma di tasse, addizionali regionali e comunali, e via cantando.
Approfondendo meglio le proposte del nuovo eroe della sinistra italica, la gauche del “anche i ricchi devono piangere”, si scopre che Mandami non intende tassare i patrimoni (cosa che la Governatrice “democratica” dello Stato di New York non gli consentirebbe mai), bensì solo la tassa corrispondente alla nostra “addizionale comunale”, e solo per chi ha un reddito di oltre un milione di dollari l’anno (reddito non patrimonio).
La vera anomalia sta quindi nella nostra Repubblica di Pulcinella, dove con un reddito di 50mila euro lordi (2500 netti), sei già un privilegiato da tosare senza pietà.
Ma badate bene che il problema non è l’aliquota in sé, che è più o meno in linea con il resto del mondo sviluppato, ma da dove la facciamo scattare.
Tanto per dire, negli Stati Uniti il 43% scatta a mezzo milione di dollari, da noi appunto a cinquantamila euro.
Dieci volte meno.
Un’aliquota da Repubblica delle banane, ma applicata ad un Paese del G7.
E già che ci siamo vediamo il confronto con gli altri Paesi del G7.
In Francia la gigliottina del 45% arriva solo oltre i 157mila euro.
In Germania bisogna guadagnarne 260mila per essere considerati “benestanti”.
E nei Paesi anglosassoni — Regno Unito, Giappone, Canada —per i mitici 50mila euro ti chiedono circa il 20%. Meno della metà.
Le aliquote massime in Inghilterra ed in Giappone sono del 45%: ma a Londra scatta oltre i 175mila euro (150mila sterline), a Tokyo oltre 312mila. Il Canada poi è un vero paradiso: lo scaglione massimo è solo del 33% e scatta a 150mila euro.
Negli Stati Uniti, addirittura, con 50mila dollari ti trattano come un medio borghese, e ti chiedono un misero 12%.
Insomma, altrove gli Stati riescono a capire la differenza tra chi galleggia e chi nuota nell’oro. Ma è anche vero che noi siamo l’unico Paese in cui l’economia sommersa vale 180 miliardi l’anno, e metà degli italiani vive sulle spalle dell’altra.
Da noi tutto è piatto: il ceto medio è schiacciato in alto, e i veri ricchi si godono di fatto una “flat tax naturale”, nascosta tra deduzioni, scappatoie e consulenti molto creativi.
Ecco perché prima di parlare di “patrimoniale”, prima di toccare i risparmi di chi già ci ha pagato le tasse dieci volte, una classe politica matura e competente (ed io aggiungerei anche onesta) capirebbe che la strada maestra è quella di riscrivere la curva delle aliquote Irpef.
Che così com’è non risponde più nemmeno al principio della progressività tanto caro alla gauche,
Come abbiamo visto oggi l’Italia è l’unico Paese del G7 in cui la massima aliquota si applica così in basso, ma è anche l’unico Paese dove si paga la stessa percentuale sia che si guadagni 60mila euro e 200mila euro.
Come dicevo non è progressività: è malafede politica ……… è Repubblica di Cialtronia.
Umberto Baldo













