8 Settembre 2025 - 9.53

Mps-Mediobanca.  Dal salotto buono al controllo “patriottico”

Umberto Baldo

Per decenni il cuore del capitalismo italiano ha battuto in un luogo preciso: piazzetta Cuccia, la sede di Mediobanca.

Qui, attorno al tavolo di Enrico Cuccia, si riunivano i grandi gruppi economici, industriali e finanziari del Paese. 

Mediobanca non era solo una banca d’affari: era un’arena riservata, un salotto buonodove si decidevano destino di imprese, banche, assicurazioni e persino di Governi. 

Questa filosofia era ben esplicitata nella famosa frase di Cuccia secondo cui “le azioni si pesano non si contano”.

In cambio, bisognava rispettare l’equilibrio collettivo. 

Era un capitalismo relazionale, più che competitivo: contava la fedeltà al patto, non il ritorno finanziario immediato.

Oggi, guardando a come i grandi Gruppi industriali e finanziari italiani hanno scelto di defilarsi, cedendo quote o allineandosi al Governo ed al Tesoro nell’assalto di Mps, viene spontaneo chiedersi: perché? 

Perché un sistema così radicato, che ha dominato per oltre mezzo secolo, si è sciolto quasi senza resistenza?

La risposta, a mio modesto avviso, non è solo economica. È anche storica.

Il paragone che mi viene in mente è con la nobiltà italiana dopo l’Unità d’Italia.

Per secoli le grandi famiglie aristocratiche avevano detenuto potere economico, influenza politica e prestigio sociale. 

Possedevano terre, palazzi, cariche ereditarie. Erano il filtro obbligato per qualunque decisione, locale o nazionale.

Eppure, con la nascita dello Stato unitario e l’avvento della borghesia industriale, quel mondo ha cominciato a perdere senso. 

I Savoia ed i nuovi Governi liberali non avevano più bisogno dei vecchi notabili.

La nuova ricchezza non veniva dai feudi, ma dalle fabbriche, dal commercio, dalle banche moderne.

Il risultato è noto: i nobili si sono lentamente ritirati, vendendo pezzi del loro patrimonio, adattandosi ad un ruolo più simbolico che reale. 

Alcuni hanno saputo reinventarsi, altri sono rimasti prigionieri di una grandezza ormai passata.

Qualcosa di molto simile, che io definirei “transizione dal feudalesimo finanziario al mercato globale” è accaduto a Mediobanca ed al suo “salotto buono”. 

Per decenni ha funzionato appunto come un feudalesimo finanziario, dove i grandi industriali si difendevano a vicenda, protetti dal “signore” Enrico Cuccia.

Ma tre forze hanno via via contribuito a sgretolare quel sistema per certi versi ispirato ad una “logica medioevale”.

In primis l’Europa e la BCE.  Con l’Unione Bancaria, le regole sono diventate oggettive, trasparenti, internazionali. Adesso contano i bilanci, non i patti tra soci.

Poi la trasformazione dei gruppi industriali.   Fiat è diventata Stellantis e guarda naturalmente a Detroit e Parigi, Pirelli ha soci cinesi, Generali è contendibile sul mercato globale. 

Non c’è più un “interesse nazionale” da difendere con il vecchio schema del “blocco”. 

Quello che invece era per certi versi imprevedibile, era il ritorno in campo dello Stato a sostegno di MPS.

Così, laddove un tempo decideva Cuccia, oggi decide il Ministero del Tesoro.

E lo ha fatto senza usare i guanti bianchi, senza preoccuparsi di recitare troppe parti in questa vicenda; attore, vigilante e controllore in modo spregiudicato.  Ha scritto leggi, dettato regole, ha detenuto e detiene azioni, ha partecipato a scalate, ha venduto quote azionarie, si è schierato apertamente con alcuni dei contendenti, ha ostacolato operazioni, ha messo paletti, ha posto condizioni impossibili da realizzare, utilizzando la Golden share in modo, come dire, “creativo”.

Attraverso il controllo di Mediobanca, inoltre, l’asse (che qualcuno ha chiamato Calta-Meloni) composto da Governo, Caltagirone, Delfin, Bpm, alla fine sta per prendersi pure il gruppo assicurativo Generali, probabilmente sin dall’inizio il vero obiettivo. 

L’asse, infatti, si è mosso anche per far fallire il tentativo tardivo di Mediobanca di liberarsi (con l’acquisizione di Banca Generali) della sua partecipazione nelle Assicurazioni Generali, per impedire che finisse anch’essa nelle mani di Mps.

E qui torniamo alle grandi famiglie di quello che fu il “patto di Sindacato” della Mediobanca di Cuccia.  

Preso atto che il capitalismo italiano non esiste più, questi soggetti hanno deciso che è meglio non contrastare il Governo; appoggiandolo apertamente, o al massimo defilandosi.

Senza poi dimenticare che lo sport più praticato dagli italiani, ad ogni livello, è da sempre quello del “salto sul carro del vincitore”. 

Risultato: quello che fu il salotto buono si è svuotato, ed i grandi industriali hanno scelto di monetizzare, vendere, guardare altrove.

La verità è che il capitalismo italiano, un tempo chiuso e familistico, è ormai diventato globale, disperso e senza patria. Non ci sono più “baroni” industriali che siedono nello stesso club: ci sono multinazionali, fondi esteri, investitori istituzionali.

Il paradosso è che lo Stato – che per anni si era ritirato lasciando spazio ai privati – oggi è tornato protagonista con il Gruppo Mps, dopo averlo più volte salvato con i miliardi dei contribuenti. 

Un ritorno che assomiglia a quello della Monarchia ottocentesca: non più legittimata dalle aristocrazie locali, ma dalle nuove regole internazionali e dal bisogno di stabilità.

E così il ciclo si chiude; come le aristocrazie italiane dopo l’Unità, anche i grandi gruppi legati a Mediobanca hanno capito che non erano più indispensabili. 

Hanno smesso di fare i “registi” del sistema, ed hanno scelto di fare i “giocatori” sul mercato, “ognuno per sé..” (e mi verrebbe da dire, celiando un po’, … “e Meloni per tutti”).

È la fine di un ciclo iniziato nel dopoguerra, quando l’Italia usciva distrutta e aveva bisogno di stabilità. 

Oggi che i giochi si fanno a Bruxelles e Francoforte, quel modello appare non solo vecchio, ma superfluo.

E come i palazzi nobiliari trasformati in alberghi o musei, anche il salotto buono di Mediobanca resterà forse come un ricordo: elegante, importante nella memoria, ma irrimediabilmente fuori dal presente.

Per quanto mi riguarda qui siamo al molto più, molto peggio, dell’ “abbiamo una banca?”; quell’infelice frase pronunciata da Piero Fassino quand’era segretario dei Ds (nel 2005), riferendosi all’acquisizione della Bnl da parte di Unipol.

Perché, a cose ormai fatte, dato che l’Ops di Mps è di fatto riuscita, Giorgia Meloni crea così un sistema di controllo politico, perlopiù indiretto, sull’economia italiana, un controllo non motivato da esigenze economiche né tantomeno strategiche: ed è la prima volta che questo accade dai tempi della Prima repubblica (o del fascismo). 

Per quanto mi sforzi infatti non individuo alcuna vera ragione economica dietro questa operazione (al contrario), né di interesse nazionale.

Io vedo solo una mera manovra di potere, dettata sostanzialmente dalla volontà della politica di designare e  nominare i vertici di grandi Istituzioni finanziarie (ma si sa che chi “nomina” alla fine comanda).

In estrema sintesi l’Italia di Meloni sceglie la via della rinazionalizzazione, in tutti e due i sensi: politica e identitaria: in una logica palesemente incoerente con il disegno dell’integrazione bancaria europea.

Umberto Baldo

Potrebbe interessarti anche:

Mps-Mediobanca.  Dal salotto buono al controllo “patriottico” | TViWeb Mps-Mediobanca.  Dal salotto buono al controllo “patriottico” | TViWeb

Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

Luca Faietti Direttore Fondatore ed Editoriale - Arrigo Abalti Fondatore - Direttore Commerciale e Sviluppo - Paolo Usinabia Direttore Responsabile

Copyright © 2025 Tviweb. All Rights Reserved | Tviweb S.R.L. P.Iva E C.F. 03816530244 - Sede Legale: Brendola - Via Monte Grappa, 10

Concessionaria pubblicità Rasotto Sas

Credits - Privacy Policy