25 Giugno 2025 - 10.03

L’oro alla Patria. Lingotti in esilio e memoria in ferie

ISCRIVITI AL CANALE WHATSAPP DI TVIWEB PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

CLICCA QUI.

Umberto Baldo

Esiste una correlazione che anche i più sprovveduti di noi in materie economiche hanno ben presente: quella che quando l’economia arranca ed i mercati ripiegano, le quotazioni dell’oro si impennano. 

Certo si potrebbe discutere a lungo, e molti nei secoli lo hanno fatto, sul perché l’oro, sin dalla notte dei tempi, sia stato considerato il bene rifugio per eccellenza. Un oggetto inutile, se vogliamo essere brutali: non disseta, non nutre, non riscalda. 

Non serve neppure a fabbricare utensili, né ha un’utilità pratica nella vita quotidiana dell’uomo comune. Eppure…

Eppure, basta un po’ di instabilità, un’inflazione galoppante, una guerra, una crisi bancaria, ed eccoci tutti a guardare la quotazione dell’oro come i contadini del medioevo guardavano il cielo: sperando che non piova, ma temendo che grandini.

L’oro è simbolo. È fede. È superstizione. È memoria ancestrale. È il racconto di civiltà intere, dagli Egizi ai Cinesi, dai Greci agli Incas, che lo hanno estratto, custodito, adorato. 

Per secoli ha rappresentato il potere, la ricchezza, la sicurezza. 

Anche quando i sistemi monetari si sono evoluti, l’oro è rimasto lì: a fondo pagina nei bilanci delle banche centrali, a guardia delle riserve strategiche delle nazioni.

Paradossalmente, proprio perché non serve a nulla, è servito a tutto. 

Perché l’oro è l’unica cosa che non dipende da qualcos’ altro. 

Non è una promessa di pagamento (come una banconota), non è un credito, non è un’azione o un’obbligazione. È sé stesso, è materia, e in quanto tale non fallisce.

E così oggi, mentre  le valute si svalutano a colpi di stampanti monetarie, e la fiducia nei sistemi si incrina , l’oro torna a brillare, anche se non luccica nei negozi, ma brilla nei caveau delle banche centrali. 

Tutti sanno che non si mangia. Ma in tempi incerti, meglio avere qualcosa che non scade, non si azzera e non mente.

Attenzione che il mio non è un discorso teorico o filosofico, ma molto, molto concreto.

La vicenda delle risorse russe congelate presso le banche occidentali dopo l’aggressione all’Ucraina ha sicuramente innescato una riflessione, e non da  poco, nella comunità internazionale. 

Non tanto, o non solo, per la questione contingente, bensì per le implicazioni sistemiche che essa comporta. 

Siamo di fronte ad un precedente che mina uno dei pilastri della fiducia internazionale: la neutralità delle riserve valutarie custodite presso Istituzioni finanziarie di altri Stati.

Il congelamento (e qualcuno arriva persino a parlare di confisca) dei circa 300 miliardi di dollari di asset russi detenuti in Europa e negli Stati Uniti è, di fatto, un atto di natura politica, per quanto giustificato dalle circostanze belliche e dal diritto internazionale (quale?) che disciplina le sanzioni. 

Ma ciò che resta sul tavolo di Capi di Stato e di Governatori di Banche Centrali è una domanda inquietante: se può accadere alla Russia, domani potrebbe accadere ad altri, e quindi anche a noi?

Inevitabile quindi che molti Paesi, soprattutto quelli cosiddetti “non allineati”, stiano traendo le loro conclusioni. 

Tenere le riserve in dollari o euro, depositate presso la Fed o la BCE, non è più un atto neutrale. 

È diventato una scelta strategica, e potenzialmente rischiosa. 

Non stupisce allora se alcune Banche Centrali, dalla Cina all’India, dalla Turchia all’Arabia Saudita, stiano diversificando: acquistino oro fisico, rafforzino accordi bilaterali in valute locali, riducano l’esposizione al dollaro.

E così anche l’oro, simbolo eterno di valore rifugio, torna ad essere al centro della scena. 

Ma a patto che sia fisicamente detenuto “in casa”, nei forzieri nazionali. 

Perché un conto è possedere oro, un altro è lasciarlo in deposito a Londra o New York.

La lezione, insomma, è semplice e brutale: non esistono più luoghi davvero neutrali in un mondo che torna a essere diviso in blocchi. 

Le riserve statali non sono solo strumenti di stabilità finanziaria, ma diventano armi geopolitiche. 

E chi ancora pensa che il sistema monetario globale funzioni come una tranquilla camera di compensazione, farebbe bene a svegliarsi.

“Rimpatriare e salvare subito l’oro italiano! Mentre Russia e Cina da anni continuano a comprare oro per liberarsi del dollaro, in Europa nazioni come Germania e Austria stanno riportando in patria i loro lingotti custoditi nelle banche estere per mettersi al riparo da eventuali crisi. La nostra mozione per il rimpatrio è stata bocciata da tutte le altre forze politiche, ma il futuro governo con Fratelli d’Italia restituirà l’oro agli italiani. È una promessa!”

Chi ha pronunciato queste fatali parole?   Ma la nostra attuale premier Giorgia Meloni, allora battagliera capo dell’opposizione.   Per la precisione era il 21 ottobre dl 2019.

Mettetela come volete, ma quello che solo qualche anno fa poteva suonare come un rigurgito, un retaggio del mito fascista dell’ “oro alla Patria”, torna di attualità.

Ma come spesso succede in politica, quella che dall’opposizione viene presentata come una insopprimibile urgenza, una volta conquistato il Governo non sembra più né impellente né rilevante.

A voler essere maligni, si potrebbe pensare che si tema che una eventuale richiesta dell’Italia agli Usa di rimpatriare l’oro potrebbe essere percepita dall’amico Trump come uno sgarbo, o comunque un atto di sfiducia.

Ma di cosa parliamo in concreto?

Dai dati di Bankitalia, l’Istituzione deputata a custodire e gestire in autonomia il metallo giallo, le riserve auree italiche ammontano a 2.452 tonnellate.

Non poche eh, se si pensa  che quelle italiche sono le terze al mondo  dietro quelle americane e tedesche, e superiori persino alle 2.279 della Cina.

E dove sono fisicamente i lingotti?

Allora,  il 43,29% (1081, 50 tonnellate) sono custodite negli Stati Uniti (forse a Fort Knox), il 5,76% nel Regno Unito (141,2 tonnellate), il 6,08% in Svizzera (149,3 tonnellate) ed il restante 44.86% in Italia (1.100 tonnellate).

Non ci sarebbe molto altro da dire a chi ha orecchie per intendere, ma cosa volete, per uno come me che è sempre stato appassionato di politica non è possibile non trarre una qualche conclusione.

A partire da quel 2019 quando Giorgia Meloni tuonava contro le riserve auree italiane custodite all’estero! 

Sembrava il preludio a una nuova Spedizione dei Mille, ma armata di portavalori blindati, elicotteri e guardie giurate. 

Lo slogan era semplice quanto d’impatto: “L’oro è del popolo italiano e va riportato in Patria!”

C’erano video, comizi, interviste.     L’oro, roba da pirati e da sovranisti, diventava simbolo di riscatto nazionale, di libertà monetaria, quasi un moderno Vangelo economico da predicare nei talk show.

La narrazione era affascinante: da una parte la nostra Italia, onesta ma sfruttata, con i lingotti chiusi nei caveau di Londra, New York e Zurigo come ostaggi di un impero finanziario. 

Dall’altra, l’eroina Meloni, pronta a rivendicarli come se fossero i tesori rubati dai Lanzichenecchi.

Poi succede che si va al governo.

E……, miracolo della politica, l’oro smette improvvisamente di brillare. 

Nessun rimpatrio. Nessun ordine alla Banca d’Italia, nessuna interrogazione, silenzio dorato.

Che fine ha fatto quella battaglia patriottica? 

Forse i lingotti si sono ossidati, o magari è semplicemente passata la voglia. 

O forse, più banalmente, qualcuno ha spiegato alla premier che: l’oro serve a fare da riserva strategica, non propaganda; che già è iscritto a bilancio, sia che stia a Roma o a Piccadilly; che la Banca d’Italia, l’unica che può decidere il rimpatrio, a differenza della Rai, non si commissaria a comando.

Ma soprattutto: mettere in discussione il deposito dell’oro a Londra o New York avrebbe fatto storcere il naso a quei partner occidentali (USA, NATO, BCE) con cui oggi Giorgia gioca a fare la statista affidabile, quella che non alza mai la voce.

Nel frattempo, qualche nostalgico dello slogan sovranista potrebbe chiedere: “Ma quindi, tutto dimenticato?”

Certo che sì. 

Del resto, in politica l’oro non ha memoria. 

I lingotti stanno benissimo dove stanno. 

L’importante è che non tornino a brillare nei proclami di chi, oggi, governa come un ragioniere dopo aver urlato come un tribuno.

Umberto Baldo

Potrebbe interessarti anche:

L’oro alla Patria. Lingotti in esilio e memoria in ferie | TViWeb L’oro alla Patria. Lingotti in esilio e memoria in ferie | TViWeb

Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

Luca Faietti Direttore Fondatore ed Editoriale - Arrigo Abalti Fondatore - Direttore Commerciale e Sviluppo - Paolo Usinabia Direttore Responsabile

Copyright © 2025 Tviweb. All Rights Reserved | Tviweb S.R.L. P.Iva E C.F. 03816530244 - Sede Legale: Brendola - Via Monte Grappa, 10

Concessionaria pubblicità Rasotto Sas

Credits - Privacy Policy