Leva in Europa: tutti si muovono. Tranne noi

Umberto Baldo
Molti sono convinti che se un Paese investe in armi, prima o poi qualcuno avrà la tentazione di provarle sul campo.
Non si tratta certo di un sillogismo da manuale, ma la storia ci ha abituati ad un copione piuttosto monotono: ogni volta che gli Stati si lanciano in corse al riarmo, poco dopo arrivano anche i conflitti.
E allora che facciamo? Appendiamo una colomba sulla porta, cantiamo “peace and love”, rinunciamo a difenderci e confidiamo che gli altri rispettino la nostra indole pacifica, magari citando la Costituzione in versioni creative, adattate ai bisogni del momento.
Il punto, però, non è un assurdo referendum tra “guerra sì/guerra no”: nessuno sano di mente auspica un conflitto.
La vera questione è come la “Politica” affronta il tema.
Una classe dirigente seria dovrebbe guidare i cittadini, spiegare i rischi, chiarire le scelte, non limitarsi a rifilare favole consolatorie.
Ma in Italia chiedere leadership è come cercare acqua nel deserto: si trovano solo miraggi.
Così, mentre i rischi per il Paese esistono eccome, i nostri arcieri della retorica preferiscono svicolare, lasciando l’onere delle verità scomode al ministro della Difesa Crosetto e, sporadicamente, al Presidente della Repubblica, l’unico che ancora parla con un minimo di lucidità.
È il livello politico che ci meritiamo: tanti proclami, poco contenuto, ed alla fine sempre lo stesso copione.
Nel resto d’Europa, invece, le discussioni sono meno timorose.
Perché una domanda, per quanto sgradita, è inevitabile: chi userà le armi che stiamo producendo se i ranghi degli eserciti europei si stanno assottigliando come ghiacciai ad agosto?
La carenza di personale è nota da anni ed ha riaperto, ovunque, il dibattito sulla leva.
Basta dare un’occhiata ai forum online per vedere le reazioni: sarcasmo, panico, toni apocalittici.
Eppure qualche Paese ha già imboccato strade precise.
La Francia sta ricostruendo un corpo solido di riservisti.
In Estonia la leva non è mai stata abbandonata, e continua a fornire una riserva addestrata.
Lettonia e Lituania hanno reintrodotto la coscrizione maschile, con periodi che vanno da nove a undici mesi a seconda del Paese, e prevedono anche alternative civili per gli obiettori.
In Finlandia il servizio militare resta obbligatorio per gli uomini, con durate tra i sei ed i dodici mesi.
In Norvegia uomini e donne vengono selezionati annualmente per l’arruolamento nelle forze attive.
La Svezia pratica una coscrizione selettiva aperta ad entrambi i sessi, ma solo una parte dei giovani viene effettivamente chiamata, in base alle necessità dell’esercito.
La Danimarca, dal canto suo, ha esteso la leva anche alle donne con un sistema a sorteggio; dal 2026 il servizio durerà undici mesi.
Grecia e Austria continuano a combinare la coscrizione con il servizio civile.
Il caso più interessante, però, viene dalla Germania.
I partiti della coalizione di Governo hanno raggiunto un accordo per istituire un nuovo modello di servizio militare volontario, con l’obiettivo di potenziare le forze armate.
Il piano coinvolgerà obbligatoriamente tutti i giovani che compiranno 18 anni a partire dal 2026, introducendo obblighi e incentivi, pur senza reintrodurre formalmente la leva obbligatoria.
Ogni ragazzo tedesco dovrà sottoporsi ad una visita medica e compilare un questionario obbligatorio con dati su salute, studi, forma fisica e disponibilità al servizio.
Anche le ragazze lo riceveranno, ma per loro la compilazione sarà facoltativa. Chi sceglierà di arruolarsi potrà farlo per almeno sei mesi, ricevendo 2.600 euro lordi al mese: più del doppio rispetto ai 1.170 euro dei volontari italiani in ferma iniziale.
Secondo Berlino, questo sistema permetterà di individuare quante persone sono potenzialmente arruolabili e, nel contempo, di incrementare gli organici volontari.
L’obiettivo è portare il numero del personale attivo da 182.000 a 260.000 unità, con 200.000 riservisti. Una crescita che dovrebbe essere sostenuta proprio dal nuovo modello di servizio.
L’accordo nasce da un compromesso tra Cristiano Democratici e Socialdemocratici: la CDU avrebbe voluto reintrodurre subito la leva obbligatoria, mentre l’SPD ha spinto per una transizione più morbida.
Il Ministro della Difesa riferirà al Bundestag ogni sei mesi sull’andamento del reclutamento; se i numeri dovessero risultare insufficienti, il Parlamento potrebbe valutare nuove misure, fino all’ipotesi di una coscrizione obbligatoria nazionale, da introdurre però con ulteriori leggi.
In caso di necessità, si procederebbe con una selezione casuale per identificare altri coscritti (immagino si pensi al sorteggio).
Il contesto geo politico è cambiato radicalmente rispetto agli anni in cui la Germania, come il resto d’Europa, riduceva le spese militari contando su un ordine mondiale che oggi appare quasi un ricordo vintage.
L’invasione dell’Ucraina ha sovvertito le priorità, spingendo Berlino a dichiarare che la nuova regola sarà “fare tutto ciò che serve”.
E lo stanno facendo davvero: il CEO di Rheinmetall, Armin Papperger, ha affermato che i programmi attuali, tra nuovi veicoli e scorte di munizioni, porteranno la Germania ad avere entro il 2029 l’esercito convenzionale più forte d’Europa. Nel 2025 il budget militare ha superato gli 86 miliardi di euro, con proiezioni che salgono a 82,69 miliardi nel 2026, 93,35 nel 2027, 136,48 nel 2028 e 152,83 nel 2029.
Noi, naturalmente, non siamo obbligati a prendere esempio dai tedeschi.
Possiamo proseguire con le nostre marce, i talk show, gli equilibrismi geopolitici, ed un certo folklore filo-russo che non manca mai.
E poi, in caso di guai, confidare nel vecchio, indistruttibile stellone italiano.
Del resto, finora ci ha sempre salvati.
O almeno così ci ripetono.
Umberto Baldo













