La Svizzera contro i frontalieri. Un altro muro in Europa

di Marco Osti
Anche gli svizzeri fanno una scelta di chiusura verso l’esterno dei propri confini geografici e, tramite referendum, decidono che serve una legge per favorire i connazionali, rispetto agli stranieri, nell’assegnazione di un posto di lavoro.
Una sorta di percorso privilegiato in nome del luogo in cui si è nati, che si inserisce nella sequenza di eventi con cui in questi mesi vari Paesi europei, ma non solo, hanno manifestato contrarietà a processi di integrazione e di apertura verso altri Stati, di cui la Brexit è solo il più eclatante.
Quella degli svizzeri appare peraltro una decisione che nel merito non coglie, o del tutto dimentica, l’epoca in cui si vive, comunque, al di là dei confini geografici, globalizzata e interconnessa, dove il mondo del lavoro punta in misura sempre maggiore a privilegiare la professionalità e la conoscenza.
Ovviamente sarà da verificare come verrà scritta, se lo sarà, tale legge, e quali potrebbero essere i criteri prioritari individuati per selezionare un dipendente, ma c’è da chiedersi se ha senso per un’azienda dover assegnare un posto di lavoro a un cittadino svizzero anche se fosse meno capace e preparato rispetto a uno straniero.
Oppure se risponde a logiche corrette di economia aziendale dover scegliere una soluzione che dovesse essere più costosa, togliendo risorse per uno sviluppo dell’impresa in altri ambiti, quali ad esempio la formazione, che può rappresentare il fattore determinante per valorizzare i propri lavoratori e consentire loro una progressione professionale.
La conoscenza del resto è un aspetto centrale per lo sviluppo di una società e della sua economia e si alimenta dal confronto delle idee e delle iniziative, dallo stimolo a migliorare che emerge anche da logiche competitive corrette e regolate.
É la concorrenza che spinge un’azienda a realizzare nuovi prodotti, a sviluppare soluzioni di qualità e a cercare soluzioni imprenditoriali per favorirne la vendita.
È un’azienda virtuosa produce crescita occupazionale, di cui possono beneficiare soprattutto i cittadini svizzeri.
A meno che non chiuda anche i suoi canali commerciali, la Svizzera continuerà a dover affrontare la concorrenza, ma potrà farlo con meno strumenti di altri Paesi, subendo quindi una penalizzazione, i cui effetti su uno Stato piccolo qual è sono di ulteriore incisività.
Senza affrontare questioni politiche, sociali e morali, la scelta di un mercato del lavoro chiuso appare quindi del tutto infondata in primo luogo per ragioni economiche e imprenditoriali, con possibili ripercussioni sull’occupazione stessa.
Sotto questi profili non si vedono motivi validi per impedire ai frontalieri di varcare il confine per recarsi sul posto di lavoro, è evidente che ci sono componenti di altra natura a guidare le scelte di voto delle persone, anche di chi, come il popolo svizzero, storicamente ha sempre svolto un ruolo non antagonista.
C’è qualche sentimento recondito che accende una visione separatista dal resto del mondo e dai propri vicini, da cui si è divisi da un sottile confine.
Questa cosa, che ottenebra il pensiero, che porta a chiudersi nel proprio guscio e a proteggersi da un esterno che si vede altro, diverso, addirittura in qualche caso nemico, ha un nome.
Si chiama paura ed è la stessa che viene alimentata da chi costruisce muri, da chi vuole impedire che circolino le comunicazioni, da chi nega le libertà di pensiero e di parola, da chi separa e non unisce.
Sulla paura si erigono le motivazioni che portano ai regimi totalitari, i quali, nel coltivare quella stessa paura per accrescere il proprio potere diventano dittature spietate.
Le persone che vanno a votare con nel cuore e nella testa la paura non sono libere.
Purtroppo in Europa e nel mondo sta prevalendo la paura e sempre più muri si erigono, sempre più divisioni si alimentano, sempre più conflitti potenziali o effettivi trovano spazio.
Ma non solo in Europa.
Chi ha seguito il dibattito tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti avrà colto in molti messaggi di Donald Trump, specie quando parlava di sicurezza e uso delle armi, l’obiettivo di portare nelle case degli americani la paura per l’altro.
Anche l’America potrebbe chiudersi dentro un muro e questa volta gli esclusi saremmo noi europei, da oltre mezzo secolo loro alleati.
Dopo il voto elvetico il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha colto quanti suoi corregionali saranno d’ora in poi vissuti come intrusi nella vicina Svizzera e subito ha dichiarato che lavorerà per tutelarli.
Da esponente di spicco di un partito che da sempre teorizza la chiusura delle frontiere, le divisioni, addirittura le secessioni, si è di colpo trovato dalla parte dei reietti, insieme a donne e uomini che vogliono solo andare a lavorare.
In realtà c’è sempre qualcuno, più a nord o più a occidente o più bravo a gridare e spaventare, che prima o poi esclude chi per primo voleva escludere qualcun altro, in una spirale in cui di solito, per capire chi ha ragione, si arriva a litigare.
Quando però succede fra nazioni, scoppiano le guerre e a rimanere vittima sono le persone a cui si è instillata la paura e si è voluto negare la speranza.













