La rivoluzione green finisce dove iniziano le imposte

Umberto Baldo
Non per riesumare vecchie polemiche, ma ve lo ricordate quando la nostra Premier, pistola della benzina in mano, pretendeva a gran voce l’abolizione delle accise?
Sembrava l’inizio di una rivoluzione fiscale, invece si è rivelato un déjà-vu: promesse in autogrill e… fine della storia.
E bastava davvero poco, non serviva contattare Mago Merlino in pensione: era ovvio che non sarebbe cambiato nulla.
Le accise – per chi avesse dimenticato – incidono sul costo finale per qualcosa come il 55-60% del prezzo di un litro di benzina o gasolio alla pompa.
E visto che da quella sola voce lo Stato italiano incassa qualcosa come 25-28 miliardi l’anno, direi che ulteriori commenti sono superflui: la Finanziaria 2025, per dire, vale la metà.
Questi soldi dovrebbero teoricamente servire per garantire strade migliori.
In pratica servono per tutto, tranne che per asfaltare le buche che conosciamo come sorelle.
Ma tant’è: le casse pubbliche hanno sempre sete, le auto sempre un serbatoio, e il matrimonio tra i due fattori è tra i più stabili d’Europa.
Poi è arrivata la stagione del Green Deal, che per l’economia europea è stato un po’ come fare un autogol al 90°, e convalidato pure al VAR.
E quindi giù con gli incentivi alle elettriche: bolli scontati, pedaggi ridotti, contributi, bonus, superbonus, iper-megabonus… quasi mancava il “comprane una e ti regaliamo una pizza”.
Ma la regola nel mondo è sempre la stessa: niente è gratis, soprattutto l’ecologia.
Le auto elettriche non hanno fatto eccezione: vendute come simbolo green, progresso, superiorità morale su chi guida ancora a combustione, hanno promesso risparmi clamorosi.
E in parte è vero: ricaricando a casa si spende un terzo rispetto alla benzina.
Certo, poi vai alla colonnina pubblica e scopri che nel futuro sostenibile rischi di spendere quanto – o più – del vecchio caro diesel.
Il punto, però, è un altro: lo Stato sta già vedendo diminuire gli incassi.
E quando gli togli entrate, succedono due cose: non gli va bene, e si arrabbia parecchio.
Aggiungiamoci un ulteriore dettaglio: quanto potrà durare la discriminazione fiscale tra chi guida “a batterie” e chi ha una termica vecchia, magari con 200.000 km, ma non ha i soldi per cambiarla?
La solidarietà ecologica ha un limite, di solito coincidente con il portafoglio.
In Italia il problema non è ancora esploso semplicemente perché… non abbiamo auto elettriche.
Al 31 ottobre 2025 ne circolavano circa 339.000, meno dell’1% su oltre 40 milioni di veicoli.
Se davvero entro il 2030 si arriverà a 4,3 milioni come dice il Governo, preparatevi alle urla del Ministro dell’Economia: sembrerà il finale di un’opera lirica.
E non è un problema italiano: in tutto il mondo l’auto è una mucca da mungere per i bilanci pubblici.
Pensate solo cosa rappresenta il bollo per le nostre Regioni: una sorta di tredicesima anticipata e garantita.
Quindi la domanda è semplice: quando le elettriche saranno tante, credete davvero che gli Stati rinunceranno agli introiti persi dalle accise?
Se la risposta è sì, ritirate il modulo per il Nobel alla Minchioneria: ve lo meritereste.
Perché succederà quello che succede sempre: tolta una tassa, ne arriva un’altra.
È come la legge di Lavoisier applicata al fisco: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si tassa.
E infatti le avvisaglie arrivano dagli altri Paesi.
In Norvegia l’elettrico è ormai religione di Stato: nel 2025 il 95% delle auto vendute sarà elettrico. Così il Governo, saggiamente, ha iniziato a togliere incentivi, reintrodurre l’Iva, mettere una tassa di registrazione basata sul peso (tipo la tassa sul bagaglio delle compagnie low cost).
E per evitare nostalgie da benzina… ecco l’idea di nuove accise maggiorate, e immatricolazioni più care, per le auto a motore termico.
Nel Regno Unito il premier Keir Starmer ha un buco nei conti grande quanto il Galles, quindi addio all’ipotesi di mollare le accise sul carburante.
Soluzione? Semplice: si pensa ad una tassa sulle percorrenze delle elettriche; 3 pence al miglio: 250 sterline l’anno a testa e 1,8 miliardi entro pochi anni.
Noccioline, certo, rispetto ai 24,4 miliardi che arrivano oggi dalla benzina. Ma sempre qualcosa.
In Danimarca, hanno uno dei sistemi più esosi d’Europa: e infatti stanno reintroducendo tasse sulle elettriche; entro il 2030 pagheranno come le termiche, in base al valore e soprattutto al peso.
L’unica consolazione è che almeno i danesi vanno in bici metà del tempo.
In Islanda dal 1° gennaio 2024 è arrivata la tassa “a chilometro”: 6 corone (4 centesimi) per ogni km percorso. E già che c’erano, hanno aumentato l’Iva sulle full electric dal 24% al 25,5%. La geotermia scalda, ma il fisco scalda di più.
In Francia e Germania stesso copione: addio incentivi e si studiano nuovi modi di tassare.
In Germania vogliono addirittura calcolare l’equivalente del “pieno” elettrico nel contatore domestico, regolando i kWh con precisione quasi teutonica.
L’efficienza applicata alla gabella.
A questo punto possiamo serenamente concludere che le idee sono bellissime, ma devono camminare su strade reali, non su nuvole verdi.
Il Green Deal europeo, in concreto, ha imposto vincoli e limiti che hanno finito per rallentare l’economia, e ora l’Europa cerca disperatamente di non inciampare nei propri entusiasmi.
E il punto finale, per chi sta valutando il passaggio all’elettrico, è molto semplice: se lo fate sperando in minori tasse future, lasciate perdere.
Lo Stato non rinuncerà mai ai soldi che oggi incassa su ogni litro carburante.
Ha un obiettivo chiaro: sostituire le accise, non eliminarle.
Insomma, cambierà il motore… ma la stangata resterà la stessa.
Umberto Baldo













