La pacca sulla spalla. L’aiuto italiano all’Ucraina spiegato semplice semplice

Umberto Baldo
C’era una volta un Paese che si cantava da solo “Salve o popolo di eroi….”. Era un’Italia retorica, enfatica, forse persino ridicola, ma almeno aveva un’idea di sé: quella di una Nazione che, nel bene e nel male, stava in piedi, prendeva posizione, si assumeva un rischio.
Anche se non la rimpiangiamo, oggi però quell’Italia è sparita.
Al suo posto c’è un Paese che si commuove molto, parla tantissimo, promette sempre, ma quando arriva il momento di fare un passo concreto….. si ferma, guarda l’orologio e cambia argomento.
L’Ucraina è il banco di prova perfetto di questa nuova, timidissima, vigliaccheria nazionale.
A parole, nulla da dire: solidarietà piena, sostegno incrollabile, difesa dei valori occidentali, della libertà, del diritto internazionale.
Discorsi impeccabili, comunicati stirati, post sui social pieni di bandierine blu e gialle.
L’Italia non si tira indietro, sia chiaro.
L’Italia “c’è”. Purché non debba fare nulla.
Perché poi, quando si passa dai comunicati stampa ai fatti, scatta il riflesso pavloviano del “No, grazie”.
Missione di pace con i cosiddetti “volonterosi”?
No. Non sia mai che un soldato italiano si trovi davvero vicino ad un confine, magari con un fucile vero e non di plastica.
E soprattutto non sia mai che qualche militare si faccia “la bua”.
La pace, per carità, la vogliamo tutti. Ma possibilmente garantita da altri; francesi, britannici, baltici, polacchi: loro sì, che sono abituati. Noi, al massimo, mandiamo un pensiero.
Invio di armi? Anche qui, molta cautela.
Perché poi c’è Salvini, l’“amichetto” di turno, quello che strizza l’occhio a Mosca, che parla di Putin come di uno con cui “bisognerebbe dialogare”, che vede sempre e solo le colpe dell’Occidente e mai quelle di chi ha invaso uno Stato sovrano.
E allora, per non disturbare il manovratore, meglio rallentare, prendere tempo, fare finta di niente.
Le armi sì, ma poche, vecchie, magari in ritardo. E possibilmente senza dirlo troppo forte.
Uso degli asset russi congelati per aiutare concretamente Kiev?
No, figuriamoci. Troppo complicato, troppo rischioso, troppo “spigoloso”.
Poi magari qualcuno si offende. Poi magari i mercati si agitano. Poi magari Mosca si arrabbia. E noi non vogliamo certo turbare nessuno, soprattutto chi bombarda.
E allora viene da chiedersi: ma questo famoso “aiuto” italiano all’Ucraina in cosa consiste, esattamente?
La risposta, alla fine, è semplice e anche piuttosto desolante: in una bella PACCA SULLA SPALLA.
Di quelle robuste, calorose, accompagnate da uno sguardo serio e da una frase di circostanza. “Coraggio”, “resistete”, “siamo con voi”.
E poi, magari, gli auguri di “Buone feste”.
Sotto le bombe, certo, ma sempre con grande partecipazione emotiva da parte nostra.
È un aiuto tutto italiano, questo: non costa nulla, non espone a rischi, non crea problemi interni, non scontenta nessuno.
È l’aiuto di chi vuole sentirsi dalla parte giusta della storia senza mai sporcarsi le mani.
Di chi pretende di difendere la libertà purché lo facciano altri.
Di chi parla di valori come fossero gadget da esibire, non scelte che comportano un prezzo.
“Salve o popolo di eroi”, cantavamo.
Oggi siamo il popolo delle buone intenzioni, delle mezze frasi, dei no sussurrati e dei sì mai pronunciati.
All’Ucraina, per ora, offriamo soprattutto questo: parole, comprensione, e una calorosa, inutilissima pacca sulla spalla.
Poi ci giriamo dall’altra parte, sperando che il rumore delle bombe non disturbi troppo il nostro sonno.













