Il problema non è fare figli: è trattenere chi li potrebbe fare

Umberto Baldo
Chi ha qualche primavera sulle spalle ricorda certamente che nel 1970, tanto per fissare un anno, la popolazione mondiale era di 3,7miliardi di persone.
E di sicuro ricorda anche le grida di allarme dei Governi, di molti demografi, dei giornali, che parlavano senza giri di parole di “bomba demografica”; “Siamo in troppi” si diceva.
Oggi sulla terra siamo in 8,2 miliardi ed i Governi, molti demografi, i giornali, sembrano dire: “Siamo troppo pochi”.
Certo più di 4 miliardi di nuovi esseri umani in meno di 60anni sono stati una bella crescita, ma adesso che il trend sembra essersi fermato, meglio invertito, credo sia più utile ragionarci su che stracciarsi le vesti di dosso.
Partendo, a mio avviso, dalla semplice presa d’atto che negli ultimi decenni, le donne hanno capito che fare 5 figli a testa distruggeva il loro corpo, e progressivamente hanno cambiato il loro approccio alla maternità, cambiando le regole del gioco.
E si badi bene che ormai è chiaro che l’”inverno demografico” non è un problema solo dei Paesi più avanzati, in quanto il calo comincia a riguardare tutto il mondo, anche se con entità diverse, fatta eccezione per il momento per l’Africa subsahariana.
Di conseguenza quando Elon Musk qualche giorno fa ha deciso di pontificare sulla “estinzione” italiana, (chissà poi perché tutto questo interesse per l’Italia!) buona parte della politica progressista ha reagito come se fosse stato toccato un nervo scoperto.
Ma nel tentativo di smontare le sue tesi, però, molti finiscono per confermargliele.
E’ il caso in cui rispondi, ti indigni…ma alla fine gli reggi la coda.
Il copione è sempre quello: “Siamo noi ad avere il problema” e “i giovani non fanno figli perché non hanno soldi, certezze o nidi d’infanzia”.
Premesse legittime, certo, ma con un effetto collaterale curioso: ti portano dritto dritto a dire che sì, Musk ha ragione, siamo un Paese che si sta sgonfiando e che rischia di non reggere il peso del suo welfare.
Ecco perché, prima di replicare al miliardario sud africano-americano, bisognerebbe fare un po’ di ordine.
Partendo dalla constatazione più ovvia: non siamo gli unici a fare pochi figli.
Anzi, siamo in ottima compagnia.
Come accennato, mezza Asia, un bel pezzo d’Europa, perfino il Nord America viaggia ormai con tassi di fecondità che avrebbero fatto tremare i polsi ai demografi di trent’anni fa.
Oggi due terzi degli esseri umani vivono sotto la soglia dei 2,1 figli per donna, considerato il tasso di fertilità di sostituzione minimo per rimpiazzare la popolazione.
Non è una bizzarria italiana: è la nuova normalità del mondo che invecchia e rallenta.
E presto assisteremo ad uno spettacolo inedito per la storia recente: un pianeta che smette di crescere e comincia, lentamente, a restringersi.
Sarà l’inizio della fine del mondo?
Nemmeno per idea.
Meno persone sul pianeta vorrebbe dire anche meno pressione sulle risorse, meno corse al consumo, meno stress ambientale.
Il vero conto da pagare, però, arriva altrove: crescita economica più fiacca, Stati con debiti che diventano più pesanti da sostenere, e sistemi previdenziali che necessitano una revisione profonda.
Non proprio il genere di temi che la politica ama affrontare.
E qui viene il punto: è la transizione che fa paura, non il numero dei bambini in sé.
La narrazione, io la chiamerei pure illusione, secondo cui “costruiamo più asili e le nascite ripartono” è comoda e rassicurante.
Peccato che sia anche un modo elegante per non occuparsi del resto: produttività, gestione dell’invecchiamento, riorganizzazione del welfare, innovazione tecnologica che possa compensare la mancanza di braccia e cervelli giovani.
Gli asili nido servono, chi lo nega, ma per migliorare la vita dei bambini e dei genitori, non per salvare i conti dell’Inps.
Poi c’è l’altra idea dura a morire: in Italia non si fanno figli perché i giovani guadagnano poco, hanno contratti fragili e servizi insufficienti.
È vero che queste cose pesano, e sarebbe ridicolo negarlo.
Però io sono convinto che, visto il nuovo approccio “culturale” delle donne alla maternità, non basta migliorare stipendi e welfare per far tornare la natalità ai livelli del dopoguerra.
Lo dimostrano le eccellenze europee delle politiche familiari: i Paesi nordici, dove lo Stato ti accompagna dalla maternità al liceo con una coperta di servizi che qui ci sogniamo.
Eppure hanno anch’essi tassi di natalità simili ai nostri.
Persino la Spagna, tanto citata come modello per tutto, salario minimo, congedi, inclusione, ha ormai una fecondità perfino più bassa della nostra.
Insomma: il mito del “basta la politica giusta ed i figli tornano” non regge alla prova dei numeri, e della realtà.
E poi c’è la grande rimozione collettiva: mentre ci preoccupiamo delle culle vuote, ci dimentichiamo, e forse ignoriamo, gli aerei pieni che decollano ogni giorno.
Più di un milione e mezzo di italiani in età lavorativa è partito nell’ultimo decennio, quasi la metà sotto i 35 anni.
Il problema quindi non è solo quello che nascono pochi bambini; bensì quello che perdiamo persone già cresciute, formate e pronte a produrre ricchezza (e figli).
Se ne deduce quindi che l’Italia non si sta svuotando per la denatalità; si sta svuotando perché chi potrebbe tenerla in piedi decide di andarsene a vivere altrove.
La verità, detta con semplicità, è che questa fuga è figlia di un Paese dove chi ha potere lo cede col contagocce.
Abbiamo costruito un sistema che sembra perfetto per trattenere gli anziani e respingere i giovani.
E finché continueremo così, il miliardario Musk avrà gioco facile a dire che stiamo evaporando.
Forse la risposta giusta non è “facciamo più figli”, ma “non lasciamo scappare chi li potrebbe fare”.
Perché non serve un Paese che produca bambini “per salvare il sistema”.
Serve un Paese che finalmente decida di investire su chi è giovane adesso.
E che smetta di illudersi che tutto si risolva costruendo qualche asilo nido in più.
Umberto Baldo













