3 Ottobre 2025 - 9.07

Il paradosso fiscale della Repubblica di Pulcinella: metà del Paese campa gratis, l’altra metà paga per tutti

Umberto Baldo

Basterebbe la tabella che trovate sopra il titolo, che ho preso dal rapporto dell’Osservatorio Entrate Fiscali del Centro Studi Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla, per capire, senza tanti giri di parole, il paradosso fiscale della Repubblica di Pulcinella, o di Cialtronia se preferite.

Immagino  la vostra reazione: “Nulla di nuovo, lo sappiamo da anni”. 

Già, perché Brambilla ed i suoi da almeno dieci anni illustrano al Parlamento lo stesso bollettino di guerra, ed ogni anno la politica risponde con la stessa liturgia di promesse vuote. Promesse che si sciolgono come neve al sole davanti all’unico vero interesse di chi siede alle Camere: conservare il consenso elettorale, sempre più magro, di un popolo che, a sua volta, ci crede sempre meno. 

Confucio (o forse Aristotele, dipende da quale sito vi capita di aprire) diceva: “Se c’è rimedio perché ti arrabbi, e se non c’è rimedio perché ti arrabbi?”. 

Vorrei tanto avere quella serenità orientale, ma davanti ai numeri dell’Irpef confesso che divento una belva.

I dati parlano chiaro: il 43% dei cittadini non versa nemmeno un euro di Irpef. 

Poco più di un quarto dei contribuenti si carica da solo quasi l’80% del gettito.

La concentrazione è mostruosa: il 72,5% dei contribuenti dichiara fino a 29 mila euro lordi l’anno, e versa appena il 23,1% dell’imposta. 

Dall’altro lato, 11,6 milioni di contribuenti (circa un quarto) coprono da soli il restante 76,9%: loro finanziano ospedali, scuole, pensioni, infrastrutture.

Tradotto in termini calcistici: è come se in una squadra di calcio solo tre giocatori corressero e tutti gli altri guardassero. Vi pare possibile vincere una partita in questo modo?

E attenzione: dentro quei tre che corrono ci sono i cosiddetti “ricchi” da 2.500 euro netti al mese, che se vivono a Milano o a Padova con famiglia e mutuo possono confermarvi quanto  lussi sfrenati possono permettersi.

Chi ha più di 35mila euro di reddito lordo annuo – appena 7 milioni di contribuenti – si accolla di fatto l’intero Welfare State. 

Altro che progressività, qui siamo alla regressività mascherata: una minoranza regge sulle spalle la metà del Paese.

E pensate al paradosso:  se anche solo un paio di milioni di questi “nababbi” decidessero di trasferirsi all’estero? 

Addio stipendi pubblici, pensioni, ospedali, scuole. Un collasso immediato.

Eppure i politici continuano a far finta di niente. 

I numeri sono cristallini, non interpretabili. 

Fotografano un Paese che preferisce chiudere gli occhi piuttosto che affrontare la realtà

E allora quando sento  qualcuno che si lamenta delle liste d’attesa in sanità, delle strade con le buche, dei treni che non arrivano mai, la domanda che mi viene spontanea è: mi mostri la tua dichiarazione dei redditi? 

Perché è lì che capisco se il tuo lamento è legittimo, o se stai semplicemente vivendo a spese di qualcun altro.

E certe volte in verità mi scappa da dire: “amico mio se la sanità, la scuola, la viabilità si dibattono con sempre meno risorse, se per curarti devi rivolgerti ormai sempre più al privato, inutile che te la prendi astrattamente con lo Stato, perché la colpa è di  coloro che del “contratto fiscale” se ne fregano altamente. 

E la cosa buffa è che i numeri smascherano la farsa: sotto i 7.500 euro lordi annui (7,2 milioni di persone) si versa in media appena 26 euro di Irpef all’anno. 

Con la fascia successiva, fino a 15mila euro, la media sale a 296 euro. A fronte, però, di una spesa sanitaria pro capite di oltre 2.200 euro.

Brambilla lo dice da anni: è credibile che quasi la metà degli italiani viva con appena 10mila euro lordi l’anno? 

Evidentemente no. 

Basta dare un’occhiata al mercato dei giochi pubblici: solo nel 2024 gli italiani hanno speso 157,4 miliardi in lotterie, slot e scommesse. 

E non mi risulta che solo i “ricchi” da oltre 35mila euro si affollino nei tabaccai.

Il quadro, in realtà, ha un odore ben preciso: evasione ed elusione fiscale, sommerso diffuso, complicità politica. 

È qui che si nasconde la vera ingiustizia.

E viene da chiedersi come l’Italia possa sedere al G7 senza arrossire, invece di accomodarsi tra i Paesi poveri che sopravvivono a stento.

Brambilla denuncia questa situazione da anni. Ma a parte qualche titolo sui giornali per un paio di giorni, i politici se ne fregano.

La sinistra recita il mantra della “lotta all’evasione fiscale”, ma lo fa in modo vago, evocando i soliti patrimoni da tassare con una patrimoniale, che andrebbe fatalmente a colpire sempre i soliti noti.

Mai, però, che dica chiaramente agli italiani che un sistema tributario così è incompatibile con la pretesa di servizi universali gratuiti.

La destra non è diversa: predica la stessa lotta all’evasione, ma nel frattempo regala agevolazioni fiscali alle categorie amiche, condoni, flat tax, e bonus distribuiti a pioggia, utili solo ad intorbidire le acque in campagna elettorale.

La verità è che la politica ha paura. 

Nei Palazzi del Potere sanno bene che “toccare i fili” del fisco significa morte elettorale. 

Perciò preferiscono l’ammuina: un po’ di retorica, qualche slogan, tanti bonus, e nessuna riforma strutturale.

Ma così facendo ci avviciniamo ad un bivio: quando metà del Paese non paga nulla e l’altra metà si stanca di pagare per tutti, il risultato sarà inevitabile. 

Il crollo della spesa pubblica universale, sostituita dal privato; nella sanità, nell’ istruzione, nei trasporti.

Il sogno del Welfare State universale si dissolverà, ed al suo posto resterà un sistema di servizi a pagamento, con buona pace della Costituzione.

Alla fine, torno a Confucio ed al suo: “Se c’è rimedio perché ti arrabbi, se non c’è rimedio perché ti arrabbi?”.
Io un rimedio non lo vedo, ma continuo ad arrabbiarmi. 

Sarà che, in fondo, ho un’anima masochista.

Umberto Baldo

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