5 Dicembre 2025 - 9.41

Il miracolo dell’Europa moderna: far sparire il Natale per “inclusione”, non se ne può più…

Umberto Baldo

Ogni dicembre l’Europa – quella che si sente tanto moderna, tanto adulta, tanto “avanti” – si comporta come un’adolescente scema che per farsi accettare dal gruppo butta via l’eredità di famiglia. 

E l’Italia, manco a dirlo, è la prima della classe in questa gara di autoumiliazione. 

Pare che non vediamo l’ora di amputarci un pezzo di identità ogni anno, come se fosse un rito purificatorio.

Il top ovviamente, arriva con il Natale. 

È lì che esplode la follia. 

A Bruxelles hanno partorito l’idea geniale del presepe “non offensivo”: statue senza volto come in un film distopico di terza categoria ed un Gesù Bambino decapitato, così non si arrabbiano i fanatici del politicamente corretto. 

Ai musulmani non ci pensano davvero: no, quelli sono solo la scusa di comodo. 

La verità è che le élite europee si vergognano della loro stessa storia e cercano pretesti per far finta che non sia mai esistita.

Ma come si può pensare di cancellare di punto in bianco duemila anni che hanno riempito l’Europa di capolavori dell’arte, dai dipinti del Beato Angelico alle cattedrali gotiche, per limitarmi ai primi due esempi che mi vengono in mente? 

Riduciamo tutto a quattro palle e ad alcuni festoni su una abete (magari di plastica), a Babbo Natale ed alle sue renne, o ad una corona di vischio sulla porta di casa?

È una rimozione talmente assurda che farebbe ridere, se non fosse tragica.

A Genova il sindaco Salis è andato ancora oltre: presepe abolito dal Comune. 

Risolto il problema alla radice, come quando butti il frigorifero perché c’è un barattolo di yogurt scaduto. 

Invece di governare, si gestisce la simbologia come una collezione di oggetti pericolosi. 

A questo punto perché non eliminare anche l’albero? 

È verde, potrebbe offendere qualcuno che ha avuto un’infanzia traumatica nei boschi.

A Grosseto, invece, hanno deciso di riscrivere pure le canzoni dei bambini, e così nella canzoncina “Don Don Dan” (versione italianissima di “Jingle Bells”) la frase “aspettando quei doni che regala il buon Gesù” è diventata “aspettando quei doni che regala il buon Natal”. 

Via Gesù. Dentro “il buon Natal”.

Il buon Natal? 

Una specie di divinità generica e neutra, che però sembra il nome di un personaggio di un cartone animato low cost, di quelli che trovi nei discount cinesi. 

Laicità creativa, la chiamano. 

Io la chiamo lobotomia culturale. 

Con le maestre che fanno da esecutrici materiali di una visione in cui i bambini devono crescere senza radici, senza simboli e possibilmente senza identità, per diventare adulti perfetti: cioè manipolabili, confusi e sempre spaventati da qualcosa.

E occhio, perché l’ordine è chiaro: cancellare qualsiasi traccia, qualsiasi riferimento alla nascita di Cristo.

Non sia mai che un bambino nato in Italia scopra perché il Natale si chiama così perché ricorda la nascita di qualcuno.

Bandite le parole “Maria”, “stella cometa”, “natività”. 

Vietato ricordare che questa festa ha un’origine. 

Tanto poi per riempire il vuoto ci pensa Amazon, che porta i pacchi in 24 ore, e quello sì, è un valore universale.

La motivazione ufficiale è sempre la stessa: “Non bisogna urtare la sensibilità dei bambini stranieri”. 

Ma è una balla colossale. 

I bambini stranieri, nella stragrande maggioranza, si fanno gli affari loro. 

Chi si scandalizza sono i genitori italiani progressisti, quelli che si credono ambasciatori dell’Onu, ma vivono in un quartiere dove di straniero c’è giusto il menù del sushi.

Io non sono un talebano del presepe.

Da liberale difendo la libertà religiosa di tutti. 

Chiunque può credere in ciò che vuole, festeggiare ciò che vuole, e anche non credere a nulla se gli aggrada.

Ma qui stiamo superando il confine tra rispetto e autonegazione patologica. 

In questa gabbia di matti in cui si è trasformata l’Italia, ci stiamo convincendo che per includere qualcuno dobbiamo prima cancellare noi stessi. 

È un suicidio culturale. E per di più, fatto con entusiasmo.

Perché giustamente, se “Natale” significa “nascita”, e non puoi nominare la nascita né il nato, che cosa rimane? 

La celebrazione universale del nulla. 

Un Black Friday con qualche luce in più, un Halloween in sedicesimo.

Un’occasione per svuotare la carta di credito e riempire il carrello. 

Il trionfo del vuoto pneumatico.

E poi, scusatemi, ma non posso esimermi dal rilevare le colpe anche della Chiesa cattolica, che negli ultimi anni sembra la versione ecclesiastica di un gruppo di auto-aiuto: dialogo, ascolto, accoglienza, empatia… tutto meraviglioso, certo. 

Peccato che mentre loro organizzano seminari sul “linguaggio inclusivo”, in mezzo mondo i cristiani rischiano di essere bruciati vivi, e   molti vivano perseguitati come ai tempi di Nerone. 

Ma chi siamo noi per ricordarlo? Non sia mai che urtiamo la sensibilità dei salotti buoni.

Chi arriva in Europa – ed in Italia – deve sapere che entra in una casa che esiste da millenni. 

Non in un Airbnb arredato da Ikea, privo di qualunque oggetto che possa “offendere”. 

Se entri, rispetti. Punto. 

Nessuno ti chiede di diventare cristiano, ma non puoi pretendere che noi si diventi smemorati.

E per finire, la precisazione necessaria: non sto parlando dei teatrini identitari alla “soy  Giorgia,  soy italiana,  soy madre, soy cristiana,”, né dei rosari agitati come armi da propaganda come faceva Salvini qualche tempo fa.  

Quello è folklore politico. 

A me interessa una cosa più seria: che ai bambini italiani venga lasciato il diritto di sapere cosa significa davvero Natale.
Toglierglielo non è inclusione; è barbarie mascherata da gentilezza.

E mi dispiace, ma a tutto questo io non intendo abituarmi.

Umberto Baldo

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