18 Luglio 2022 - 15.53

Il black face si addice ad Aida?

di Alessandro Cammarano

Il “politicamente corretto” è andato assumendo negli anni, e pressoché in ogni ambito della quotidianità, una connotazione sempre più marcata e anche l’opera lirica è tra le forme di spettacolo sottoposte a “revisione”.

Emblematico il “caso Aida” all’Arena di Verona, sul quale si dibatte, malamente, da giorni sulla stampa – sia generalista che specializzata – e che come d’abitudine in Italia vede contrapposte fazioni agguerrite nel propugnare ciascuna il proprio punto di vista.

La cronaca: il soprano afroamericano Angel Blue avrebbe dovuto debuttare all’anfiteatro scaligero come Violetta nella Traviata, ma, venuta a conoscenza del fatto che nell’Aida – altra produzione in programma al festival areniano di quest’anno – la protagonista avrebbe avuto, come da tradizione, il volto dipinto di nero ha deciso di cancellare la sua partecipazione in quanto offesa dal trucco black-face che ella stessa ha definito «offensivo, umiliante e razzista».

Apriti cielo! A fronte di pochissimi interventi a suo sostegno i social e non solo si sono scatenati dandole addosso in maniera assai spesso poco urbana, adombrando “inadeguatezze vocali”, “atteggiamenti furbetti”, “voglia di farsi pubblicità”, per chiosare con commenti beceri sul suo nome e cognome.

Un’altra afroamericana, Grace Bumbry, leggendario soprano “Falcon” oggi ultraottantenne, redarguisce la giovane collega in un lungo post sostenendo che ci si trucca a seconda del personaggio che si interpreta senza vedere in questo nessuna implicazione razzista, portando esempi di grandi interpreti del passato; in parte condivisibile ma “datato”.

I vertici dell’Arena hanno replicato con un secco “finche facciamo un’Aida storica in Arena è molto difficile per noi cambiare qualcosa”. Ad informazione del lettore l’allestimento in scena è quello firmato da Franco Zeffirelli nel 2002, non quello rievocativo del 1913, e quindi di “storico” non ha proprio nulla.

A rincarare la dose di polemica anche Anna Netrebko, rientrata nel circuito internazionale dopo l’autocritica sulle sue posizioni riguardo alla politica di Putin e alla guerra in Ucraina, che indossa fieramente il trucco nero nelle recite da lei sostenute all’Arena dichiarando «non farò mai un’Aida bianca», ma che in contraddizione con se stessa non userà il prossimo ottobre al Teatro Real di Madrid dove il black-face è espressamente bandito; il tutto il nome della “coerenza da cachet”, ma si sa, “l’argent fait tout” come dice Marcellina nelle mozartiane Nozze di Figaro. Il di lei compagno Yusif Eyvazov si ritrova escluso dal Metropolitan di New York a seguito delle sue esternazioni riguardo alla Blue, definite dal tempio newyorchese dell’opera “disgusting”

Sempre per la cronaca Angel Blue – tra l’altro ottima cantante, basta andare a farsi un giro su YouTube per rendersene conto –, al Metropolitan è stata chiamata ad interpretare la prima opera contemporanea di un compositore americano-africano mai rappresentata nella storia di quel teatro ed è un’attivista che si batte per i diritti civili; il suo è un pensiero militante – che si può condividere o meno, ma non irridere o minimizzare e propugna con forza la sua posizione, abbandonando la produzione a rischio di beghe legali derivanti dal mancato adempimento del contratto.

Il black-face non è così sentito in Europa perché, fortunatamente, il Vecchio Continente non ha vissuto la schiavitù e la segregazione razziale, con quest’ultima ancora presente negli USA in forme troppo spesso tollerate ove non incoraggiate – ricordiamo che gli afroamericani sono pari al 14,1 per cento della popolazione degli Stati Uniti contro l’85,9 per cento di caucasici, ispanici, asiatici, con percentuali pressoché ribaltate quando si parla di popolazione carceraria, ma la pratica è comunque segno di un passato orrendo che è legittimo stigmatizzare.

Per il pubblico è davvero così importante che Aida sia pittata di nero? Non conta di più che a si evidenzi il suo essere schiava? Rigoletto ha proprio bisogno di una gobba esteriore a richiamare la sua deformità interiore? Sinceramente non credo.

Fermarsi e riflettere, dando spazio alle ragioni dell’altro, senza tirare in ballo la “tradizione” è poi così difficile?

Alessandro Cammarano

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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