Donatore di sperma trasmette rara mutazione genetica: almeno 10 bambini colpiti da tumore

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Un caso allarmante scuote l’Europa: almeno 23 dei 67 bambini nati grazie al seme di un unico donatore danese sono risultati portatori di una rara mutazione genetica. Dieci di loro hanno già sviluppato forme di cancro precoce, tra cui leucemie e linfomi. A riportare la notizia è The Guardian, che sabato 24 maggio ha raccontato la vicenda, discussa anche a un convegno della Società Europea di Genetica Medica a Milano.
Il donatore – la cui identità resta riservata – è affetto dalla sindrome di Li-Fraumeni, una malattia genetica estremamente rara associata a una mutazione del gene TP53, noto per aumentare il rischio di insorgenza di tumori già in giovane età.
Il caso è emerso dopo che due famiglie si sono rivolte alle proprie cliniche della fertilità, sospettando un legame genetico tra i tumori sviluppati dai figli. Da lì sono partite le indagini che hanno coinvolto 46 famiglie in otto Paesi europei, i cui figli sono nati tra il 2008 e il 2015 grazie al seme fornito dalla Banca Europea dello Sperma.
La dottoressa Edwige Kasper, oncogenetista dell’Ospedale universitario di Rouen, ha illustrato il caso durante il congresso di Milano, sottolineando la necessità urgente di limitare il numero di nascite per singolo donatore. In Danimarca, patria del donatore coinvolto, il tetto massimo consentito è di 75 figli per donatore. «È un numero enorme – ha commentato Kasper – e potrebbe essere stato ancora più alto ai tempi di questo caso specifico».
Oltre al problema dell’eccessiva proliferazione genetica, Kasper ha lanciato l’allarme su un rischio ancora più grave: la diffusione artificiale di malattie genetiche attraverso le banche del seme. In Francia, per esempio, il limite è di 10 donazioni per donatore, proprio per ridurre il rischio di consanguineità e trasmissione genetica.
Da parte sua, la clinica danese coinvolta nega ogni negligenza, sottolineando che «i donatori sono sottoposti a rigorosi controlli medici e genetici», ma ammettendo anche che non esistono test capaci di rilevare ogni possibile mutazione. In questo caso, secondo i portavoce della clinica, nessun protocollo di screening disponibile all’epoca avrebbe potuto individuare la mutazione TP53.
Il caso riapre il dibattito internazionale sulla necessità di norme più stringenti e armonizzate in materia di donazione di gameti, per tutelare i nascituri e le famiglie coinvolte.













