2 Ottobre 2025 - 9.26

Danimarca e UK: pugno duro sui migranti. Da noi ancora il ritornello delle “risorse”

Umberto Baldo

Vi ricordate quando la parola d’ordine della sinistra era che “gli immigrati sono una risorsa”?

Un mantra ripetuto fino allo sfinimento, entrato perfino nel linguaggio comune come una barzelletta stantia. 

Bene, oggi di quel ritornello in Europa se ne sente poco. 

Anzi, pochissimo. Salvo, ovviamente, in Italia, dove certa sinistra e  certi settori cattolici continuano a recitarlo come fosse un rosario quotidiano.

Chi mi conosce sa che io sono perfettamente conscio che in società declinanti (almeno in senso demografico) come quelle della nostra Europa il problema del calo della popolazione si porrà in tutta la sua drammaticità nei prossimi decenni. 

Non occorre essere Diogene per scoprire che nei nostri cantieri edili si parlano un po’ tutte le lingue dell’est Europa, che ad assistere i nostri anziani ci sono donne proveniente dall’universo mondo, che certi mestieri i nostri ragazzi non li vogliono più fare (sostenuti in questo dai genitori che, forse giustamente, vedono nel loro pargolo il nuovo Bill Gates o il nuovo Steve Jobs).

Il problema, come sempre in Italia, è l’approccio ad un qualsiasi problema.  

E poiché siamo una società frammentata, con divisioni ideologiche profonde, c’è una parte degli italiani che, soprattutto vedendo i problemi dell’ integrazione, non vede negli immigrati tutte queste “risorse” e chiuderebbe volentieri i confini, alla quale si contrappone l’altra parte che, per ideologia, buonismo, magari anche per fede religiosa, resta ancorata al mantra delle “porte aperte”.

Conoscendo gli italiani, ed il loro guelfismo e ghibellinismo, non vedo alle porte un superamento di questa “diversità di vedute”.

Ma l’Europa non è l’Italia, come spesso ci dimentichiamo, e altrove le cose stanno cambiando velocemente; e non parlo dei Paesi retti da Governi conservatori o reazionari.

Altrove anche la sinistra ha scoperto che il mondo reale non è un seminario dell’Arci.  

In Gran Bretagna, il Labour di Keir Starmer, per anni paladino delle “porte aperte”, si è risvegliato improvvisamente con i sondaggi che lo danno in caduta libera, insidiato  dalla crescita vertiginosa di Nigel Farage con il suo Reform UK, e sta cercando disperatamente di scrollarsi di dosso l’etichetta di “complice del disastro migratorio”. 

Troppo tardi?  Probabilmente si!  Ma stare fermi è comunque un rischio! 

E così, ecco la svolta: l’Home Secretary (Ministro dell’Interno)  Shabana Mahmood, figlia di immigrati pachistani, ha appena imposto la linea dura. 

Vuoi restare nel Regno Unito? 

Niente più scorciatoie per il permesso di soggiorno a tempo indeterminato: serviranno dieci anni (non cinque), un inglese fluente, nessuna pendenza penale, un lavoro stabile, niente sussidi, e perfino un po’ di volontariato. 

E per i Paesi che non riprendono indietro i loro cittadini espulsi, stop ai visti. 

Un approccio che sa tanto di “pugno duro”, e che fino a ieri la sinistra britannica avrebbe bollato come xenofobia.

La stessa Mahmood ha definito “un disastro totale” l’idea di aver trasformato gli hotel in dormitori per migranti, promettendo di smantellare il sistema. 

E non si è fermata lì: “la polizia deve controllare le nostre strade, non i nostri tweet”, ha dichiarato. 

Un pugno nello stomaco al politicamente corretto.

Starmer, intanto, porta avanti il progetto di una identità digitale per combattere gli irregolari, che raccoglierà dati personali e status di residenza. 

Scandalo per i britannici, allergici a ogni forma di schedatura, ma il Premier insiste: “Così fermeremo i clandestini e renderemo più sicuri i nostri confini”. 

Una frase che, messa in bocca ad un conservatore, fino a ieri avrebbe scatenato proteste di piazza.

Avete capito amici, Altro che Commissione contro l’odio online: qui la sinistra di governo vuole decisamente chiudere le porte all’immigrazione; roba che da noi verrebbe tacciata come deriva autoritaria, se non come fascismo.

E la Danimarca? Non è da meno. 

Lì i socialdemocratici – non i sovranisti, i socialdemocratici! – hanno appena nominato ministro dell’immigrazione Rasmus Stoklund, noto per la sua linea durissima: rimpatriare il più possibile, chiudere la porta all’islamismo, sfidare apertamente la Corte europea dei diritti dell’uomo che frena le espulsioni. 

Toni da Marine Le Pen, ma con la tessera del partito socialista in tasca.

Ora, la domanda è inevitabile: perché altrove la sinistra ha capito – magari tardi, magari per convenienza elettorale, che il tema dell’immigrazione non si governa a colpi di slogan buonisti, mentre in Italia siamo ancora fermi al catechismo della “risorsa” e al “volemose bene”? 

Perché a Londra e a Copenaghen si può parlare di sicurezza, rimpatri, doveri degli immigrati, mentre qui da noi chi lo fa viene subito bollato come razzista?

Forse perché la nostra sinistra da ZTL non sa neanche dove stia di casa l’elettorato reale: preferisce i festival dell’unità al confronto con le periferie, i talk show al contatto con le fabbriche, le maratone su X alle marce nei quartieri difficili.

E poi si chiedono perché perdono le elezioni?

Ecco il punto: la sinistra italiana non è semplicemente indietro, è fuori tempo massimo. 

E mentre gli omologhi europei  cercano, pur tra mille contraddizioni, di recuperare credibilità con l’elettorato, i nostri restano ancorati a un’ideologia che sa tanto di dépliant umanitario, e non regge più alla prova della realtà.

A questo punto, davvero, amici danesi e britannici: vi va di scambiarci i nostri progressisti? 

Umberto Baldo

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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