19 Settembre 2025 - 9.29

Dall’ “abbaiare della Nato” al “cessate il fuoco”: parole di Papa

Umberto Baldo

Nel lessico della diplomazia vaticana ogni parola pesa più dell’oro. 

In duemila anni, “Oltretevere” hanno imparato che basta una frase mal calibrata per far tremare ambasciate e cancellerie. 

Non è un caso: il Papato, pur senza mai governare direttamente gli Stati d’Europa, ha esercitato per secoli un’influenza formidabile, capace di incoronare o deporre Re, ridisegnare confini e plasmare culture.

L’episodio per me più emblematico del passato ruolo della Chiesa resta forse il Trattato di Tordesillas del 1494: con un colpo di penna, Alessandro VI Borgia divise il mondo tra Spagna e Portogallo (addirittura inventandosi  un meridiano immaginario – la raya-  370 leghe a ovest delle Isole di Capo Verde.  Quella riga condizionò per alcuni secoli le politiche coloniali di Spagna e Portogallo, e di conseguenza delle altre potenze europee.  

Oggi, se in Brasile si parla portoghese e in tutto il resto del Sud America spagnolo, lo si deve a quel tratto di penna pontificio. 

Segno che le parole del Papa, allora, pesavano quanto e più di un esercito.

Con i secoli l’influenza temporale è scemata, ma il peso morale resta: quando un Papa parla, i Governi ascoltano, anche quelli dei Paesi non cattolici o addirittura atei.  

Ogni Pontefice si trova ad oscillare tra continuità e discontinuità rispetto al predecessore. 

Così è anche per Leone XIV, il nordamericano agostiniano Prevost, che raccoglie l’eredità del gesuita argentino Bergoglio. 

Continuità nei temi sociali, nella volontà di dialogo e nell’attenzione agli ultimi. 

Discontinuità nello stile: Prevost è più prudente nel linguaggio, più tradizionale negli abiti, più portato alla mediazione che alla rottura.

E la differenza si vede ad esempio anche sulla guerra in Ucraina.

Papa Francesco, di fronte all’aggressione russa, ha parlato di “popolo martoriato”, ha condannato i bombardamenti, ha pianto sui bambini sfollati. 

Ma nel suo sforzo di restare Pontefice universale, a volte ha scelto parole che hanno fatto discutere. 

Quella “bandiera bianca”, per esempio, che voleva forse essere un’immagine di dialogo, ma che a Kiev è sembrata un invito alla resa. 

Oppure la frase sull’“abbaiare della Nato alle porte della Russia”, che molti hanno letto come una critica all’Occidente più che a Mosca. 

Bergoglio in realtà non ha mai giustificato Putin, ma ha cercato di leggere il conflitto anche in chiave storica e geopolitica, suscitando più di una perplessità in Europa orientale.

Leone XIV ha cambiato registro. 

Il 15 settembre ha dichiarato senza giri di parole che “la Nato non ha cominciato nessuna guerra”, distinguendo nettamente tra chi aggredisce e chi si difende. 

Un atto di chiarezza, quasi un ribaltamento rispetto all’immagine dell’“abbaiare” usata dal predecessore. 

E invece di metafore rischiose ha scelto concetti netti: “La guerra è sempre una sconfitta.” 

Poi richieste concrete: cessate il fuoco, liberazione dei prigionieri, ritorno dei bambini deportati.

Francesco ha provato ad interpretare le cause profonde del conflitto, chiamando in causa anche le responsabilità occidentali. 

Leone XIV preferisce fotografare la realtà:  l’invasione di uno Stato sovrano , un’Alleanza sotto attacco, una Russia aggressiva, una Chiesa che non può ignorare l’evidenza.

In fondo entrambi hanno parlato e parlano di pace, ma da prospettive diverse. 

Francesco con la prudenza di chi ha cercato di capire le radici, Leone XIV con la fermezza di chi punta l’indice sul presente.

Il primo somigliava ad un equilibrista che procede sul filo; il secondo sembra piantare il bastone a terra: qui si parla di umanità, diritto internazionale, dignità delle vittime.

La sostanza, forse, non cambia. Ma in un mondo che scivola irresponsabilmente verso le guerre permanenti, anche la differenza di toni può fare la differenza.

Umberto Baldo

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