Dal fuoco alle bombe atomiche: l’unica costante dell’umanità è la stupidità

Quando la Storia si ripete e noi non impariamo
Umberto Baldo
La teoria che la storia sia ciclica è sostenuta da diversi filosofi del passato.
Erodoto e Polibio ad esempio vedevano le vicende umane come soggette a cicli di ascesa e declino.
Platone e Aristotele, per quanto riguarda le forme di governo, ipotizzavano un ciclo che va dalla monarchia alla tirannide, all’aristocrazia, all’oligarchia e alla democrazia.
Giambattista Vico elaborò la teoria dei “corsi e ricorsi storici”, secondo cui le società attraversano cicli di barbarie, civiltà e decadenza, per poi ricominciare.
Nicolò Machiavelli pensava che la storia si ripetesse a causa della natura immutabile degli uomini e che fosse possibile imparare dal passato per evitare errori futuri.
Tranquilli, non ho alcuna intenzione di imporvi una lezioncina di filosofia politica, ma chi mi conosce sa che sono un cultore di Machiavelli, e pur non pensando che la storia sia una specie di piéce teatrale che si ripete all’infinito, sono comunque convinto che dagli avvenimenti del passato qualche indicazione la si possa sempre trarre, proprio in virtù del fatto che l’uomo nella sua essenza è sempre quello fin dalla Genesi.
Venendo all’oggi, come accennato, io credo che ci sia un curioso vizio della Storia: il suo ripetersi, anche quando ci illudiamo di essere troppo “moderni” per cadere negli stessi errori di ieri.
Così ogni generazione è convinta di vivere un’epoca unica, irripetibile, piena di sfide nuove.
Ma la verità è che gli uomini, le società ed i Poteri si muovono da millenni dentro gli stessi schemi, e basta sfogliare un libro di storia per accorgersi che non c’è nulla di davvero nuovo: solo le stesse passioni, le stesse paure, e spesso le stesse follie, ripetute con tecnologie sempre più sofisticate.
Per esempio, l’ascesa e la caduta delle grandi potenze nel corso dei secoli hanno stabilito alcuni principi fondamentali.
Il primo tra questi è che, quando una potenza dominante si trova di fronte a due potenze rivali, quella che non entra direttamente in conflitto è di solito quella che alla fine prevale su tutte.
Così alla fine del XVIII secolo, la Gran Bretagna ebbe la meglio sui Paesi Bassi (la potenza dominante dell’epoca), mentre la Francia, l’altro contendente, che invece scelse la guerra con gli olandesi, non divenne mai una superpotenza.
All’inizio del XX secolo, gli Stati Uniti superarono la Gran Bretagna proprio a causa delle guerre tra il Regno Unito e l’altro suo rivale, la Germania.
Quindi la “regola”, o lezione se preferite, è che gli imperi non sempre crollano per sconfitta militare, ma anche quando non sono più in grado di finanziare la sicurezza dei loro territori interni e delle rotte commerciali.
Esempio lampante la Spagna, che perse la sua “età dell’oro” perché non riusciva più a pagarsi gli eserciti per difendere le proprie colonie.
O l’Unione Sovietica, che implose, ubriaca di missili e di propaganda.
E anche quando sembra andare tutto bene, l’uomo trova il modo di rovinarsi da solo.
All’inizio del Novecento il mondo si credeva all’alba di un secolo d’oro: elettricità, telefono, radio, automobili, aerei… Sembrava l’inizio di una nuova era.
Poi arrivò la Grande Guerra, e in poche settimane le invenzioni nate per migliorare la vita si trasformarono in strumenti di morte; ed il sogno del progresso finì nelle trincee fangose di Verdun.
Oggi, in teoria, dovremmo essere in un’epoca di prosperità.
Abbiamo conoscenze immense, tecnologie che sfiorano la fantascienza, ed una ricchezza globale che non ha precedenti.
Potremmo curare malattie, fermare il cambiamento climatico, ridurre la fatica del lavoro. Potremmo persino imparare a vivere meglio, non solo più a lungo.
Ma in realtà non lo facciamo.
E come agli inizi del XX secolo l’autoritarismo rialza la testa, anche dove pensavamo fosse stato sconfitto, minando persino le democrazie più solide. L’intelligenza artificiale, che potrebbe essere la nostra alleata, rischia di diventare un nuovo padrone.
Il pianeta suda, i ghiacciai si sciolgono, i mari salgono, i fiumi si prosciugano costringendo milioni di persone a migrare; i conflitti per il cibo e l’acqua si moltiplicano, e sono destinati ad aumentare.
Tutto nuovo apparentemente, ma in fondo tutto come in altri secoli.
E la politica?
La politica, paralizzata dalla paura di perdere le prossime elezioni, rinvia ciò che dovrebbe fare oggi.
La globalizzazione è in crisi, la nostalgia per un passato immaginario diventa bandiera, cresce il fastidio per la conoscenza.
È il terreno ideale per i populismi, che da sempre prosperano dove l’intelligenza collettiva lascia il posto alla rabbia individuale.
Siamo un’umanità che si guarda allo specchio ma non si riconosce più.
Siamo ovunque connessi, ma incapaci di cooperare.
Parliamo di “intelligenza artificiale”, ma sembriamo perdere quella naturale.
Ma ciò che rende la situazione odierna ancor più inquietante – ed in questo caso sì senza precedenti storici – è che ci troviamo di fronte a sfide comuni a tutta l’umanità: il cambiamento climatico, la povertà, i rischi pandemici e l’abuso della tecnologia.
Saturi di schermi e videogiochi, ma ancora prigionieri delle rivalità nazionali, dimentichiamo di pensare al futuro globale e lasciamo che siano i potenti interessi nazionali a dettare le politiche.
Non è un caso che si ricominci a parlare di “Naaaazzzziiiooooni”.
A mio avviso la grande novità del XXI secolo è che le grandi minacce del nostro tempo, clima, povertà, guerre, tecnologia fuori controllo, non si risolvono con i confini, ma con il coraggio di pensare come “specie”, e se continueremo a comportarci secondo il principio dell’ “ognuno per sé e Dio per tutti”, alla fine non ci sarà salvezza per nessuno.
Forse è questa la vera sfida del XXI secolo.
In estrema sintesi rendersi conto che le civiltà non muoiono per caso: muoiono quando smettono di pensare al domani, e si richiudono su se stesse.
Se vogliamo evitarlo, dobbiamo imparare a ragionare come un’unica umanità, abbandonando la logica meschina delle piccole Patrie.
Quindi sì alla cooperazione, no agli egoismi nazionali.
Lo so che non è e non sarà facile; anzi forse potrebbe essere impossibile.
Ma il futuro non è scritto come nelle tavole della legge, e molto dipende solo da noi.
Umberto Baldo













