4 Luglio 2022 - 10.23

Cronache dalla Biennale Teatro

di Alessandro Cammarano (Foto © Andrea Avezzù – La Biennale di Venezia)

Venezia è tornata quella di sempre, vale a dire a dire quella affollata di turisti che fotografano tutto senza guardare nulla, che fanno la fila per entrare nei negozi delle grandi firme o per consumare un pranzo appena scongelato, il tutto condito da temperature torride e uno scirocco opprimente che richiama immediatamente quello evocato da Thomas Mann giustappunto in “Morte a Venezia”. Tutto normale dunque.

Per fortuna anche nella città lagunare sussistono alcune isole felici, porti sicuri a cui approdare e capaci di offrire rifugi sicuri a chi non voglia sottostare al gioco perverso dei vetri di Murano made in China: uno di questi arcipelaghi si chiama Biennale, che dal 1895 offre un panorama sullo stato dell’Arte per poi, nel corso dei lustri, aver allargato l’orizzonte su Musica, Teatro, Danza, Cinema, Architettura ponendosi come punto di riferimento per le nuove tendenze attraverso rassegne capaci di focalizzarsi su aspetti stringenti della Realtà.

Chi scrive si occupa prevalentemente di musica, ma in fondo il teatro di parola – “prosa” è termine da lungo tempo non più aderente alla realtà contemporanea – è molte volte esso stesso musica.

Le produzioni moderne non possono più prescindere dalla multimedialità intesa in ogni sua più variegata sfaccettatura e poi, volendo volgere lo sguardo al passato basterebbe ricordare i cori che Andrea Gabrieli compose per l’Edipo Re che nel 1585 inaugurò il Teatro Olimpico; ecco dunque l’interesse del critico volto ad una disciplina sorella.

C’è anche da dire che il pubblico del teatro è assai più scafato rispetto al melomane medio che frequenta esclusivamente l’opera. A teatro, soprattutto alla Biennale, i giovani sono preponderanti per numero, fieri di esibire le loro “diversità”, disposti al confronto, aperti al nuovo, lontani da schemi preconcetti. Ne consegue che con loro si può instaurare un dialogo capace di prescindere da insulse nostalgie di un passato mitizzato care ai vari “eh ma la Callas” o “la regia si fa seguendo il libretto” di cui i teatri italiani – all’estero il discorso è per fortuna molto diverso – pullulano.

Dallo scorso anno la direzione della Biennale Teatro è affidata a Stefano Ricci e Gianni Forte, più brevemente Ricci-Forte, coppia artistica e intellettuale il cui percorso va ben oltre la semplice regia, coinvolgendo un’ampia serie di aspetti legati alla “rappresentazione”.

Se il loro anno d’esordio aveva visto il blu come motivo guida, la Biennale Teatro 2022 porta il titolo di “Rot. Il rosso che acceca, la furia che avvampa”. Più chiaro di così non si può: Ricci-Forte decidono di indagare sui sentimenti più estremi e tra questi quale è più dirompente dell’Amore in tutte le sue declinazioni?

In due giorni infuocati l’Arsenale – città nella città – e gli altri luoghi della Biennale sono sembrati il rifugio ideale per sottrarsi ai riti turistici offrendo allo stesso tempo una moltitudine di spunti di riflessione.

L’avventura di Rot comincia, per me, con la tavola rotonda “Essere, non essere o essere altrove” che, moderata da un critico di rango come Andrea Porcheddu, ha visto la partecipazione di molti degli artisti impegnati nelle produzioni in programma dando vita ad un dibattito stimolante che dall’esperienza personale di ciascuno si è ampliato a temi universali.

Nel pomeriggio, in un Campo Santo Stefano miracolosamente ombroso, andava in scena “Under an Unnamed Flower” la performance di Aine E. Nakamura – vincitrice del bando performance site-specific, della Biennale College 2022 – tutta incentrata sul concetto di Pace. La Nakamura gioca mirabilmente con la tradizione teatrale giapponese anche attraverso l’uso della parola, spesso ripetuta ossessivamente, che attinge ad una tavolozza di suoni che vanno oltre il “parlato”.

La sera, alle Tese dei Soppalchi – gli spazi dell’Arsenale sono quelli che un tempo erano adibiti alla costruzione dei vari elementi delle navi e qui specificamente alle vele – era la volta di “Loco”, la pièce che il duo tutto al femminile di Natasha Belova e Tita Jacobelli tratta dalle “Memorie di un pazzo” di Nikolaij Gogol. Il protagonista Popriščin, umile funzionario che

impazzisce per un amore impossibile, è una marionetta – animata dalla Jacobelli insieme a Marta Pereira – è più viva di un attore in carne ed ossa grazie anche alle luci fantastiche di Christian Halkin e alle musiche e al progetto sonoro di Simón González. Uno di quegli spettacoli che si avrebbe voglia di rivedere, salutato da una standing ovation corale. Più complesso, e interlocutorio, si fa il discorso intorno a “Seek bromance”, il monumentale lavoro di Samira Elagoz vincitore del Leone d’Argento 2022. Un docu-film di circa quattro ore in cui il protagonista racconta la sua transizione da “femme” a “transmasculine” il tutto in una storia d’amore sempre borderline. Tema attualissimo di cui l’autore dice: «Volevo costruire l’opera che avevo bisogno di vedere mentre ero in difficoltà col mio genere. Un’opera trans in cui non si tratta di educare le persone cis, di giustificare la nostra esistenza o di essere esempi splendenti e positivi, ma una storia vera, in cui protagonisti trans sono complessi e tormentati, progressisti, ammirevoli, problematici, persone con cui ci possiamo identificare. Ribelli, amanti e creatori». Ci è riuscito? Sì, ma sempre col rischio di annoiare in uno storytelling infinito, di ripetersi, di attingere qualcosa di già visto – ai film super8 di Andy Warhol, per esempio – e soprattutto negando al teatro la terza dimensione, quella fisica e in presenza che invece qui si schiaccia in uno schermo cinematografico. Al termine applausi non più che cortesi ma nessuna contestazione plateale. Sono ripartito da Venezia più ricco, il che non è poco.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA