23 Ottobre 2025 - 10.12

Così son buoni tutti a fare i banchieri. Confessione di un eretico bancario

Di Umberto Baldo

Lo ammetto: da quando negli ultimi anni si è cominciato a parlare di “tassa sugli extraprofitti bancari”, da buon liberale, sono sempre stato decisamente contrario.
Mi dicevo: “lo Stato non deve mettere le mani negli utili delle aziende private, altrimenti finiamo come a Cuba, con le Banche che servono il mojito anziché i clienti”.
Ma si sa — solo gli stupidi non cambiano mai idea. E siccome non voglio finire nella categoria dei cretini con il distintivo, confesso che su questo punto ho cambiato posizione.
E vi spiego perché.
Non la faccio lunga, ma le motivazioni sono tre, e tutte abbastanza esplosive:

  • Il ricco margine d’interesse regalato alle Banche dalla politica monetaria della BCE nel periodo pandemico. Un margine che loro hanno semplicemente incassato come si incassa un’eredità dallo zio d’America: senza muovere un dito. Nessun merito, solo fortuna e tassi.
  • L’epocale mungitura di commissioni sul risparmio gestito e amministrato. Gli italiani pagano più di chiunque altro in Europa, ma continuano a credere che il proprio gestore sia un benefattore col cuore in mano. Peccato che la mano, però, sia sempre dentro al portafoglio del cliente.
  • L’immenso cuscinetto delle garanzie pubbliche sul credito, una sorta di airbag statale che protegge le banche dai loro stessi errori. Doveva essere, come la follia del Superbonus 110%, una misura straordinaria per l’emergenza pandemica, ma è diventata permanente.
    Ecco perché, usciti dal Superbonus, con fatica e ragionevolezza dovremmo fare lo stesso anche con queste garanzie: perché il “merito di credito” va valutato dal banchiere, non dal contribuente.
    In realtà, quelle garanzie sono il vero carburante dei profitti bancari, perché liberano gli istituti dall’obbligo di accantonare fondi per coprirsi dai rischi.
    Tanto, in caso di problemi, paga Pantalone: cioè noi.
    E non parliamo di spiccioli.
    Secondo Unimpresa, le garanzie pubbliche attive ammontano a circa 270 miliardi di euro, pari al 13-14% del PIL. Solo nel primo semestre del 2025, le banche hanno concesso 23,7 miliardi di prestiti, coperti da garanzie statali per 16,6 miliardi.
    Insomma: finita la pandemia, le garanzie sono diventate la badante ufficiale del credito italiano.
    Per ora tutto bene, ma se arrivasse una recessione, chi pagherebbe il conto?
    Indovinate un po’.
    A quel punto viene naturale dire: “eh beh, così son buoni tutti a fare i banchieri”.
    A presentare bilanci con utili da urlo, a fare buyback, OPS, piani di stock option e a premiarsi come se fossero salvatori del mondo.
    Quando invece hanno solo beneficiato di tassi alti, garanzie pubbliche e commissioni da gioielleria svizzera.
    Ecco perché oggi non mi sembra affatto scandalosa l’idea che lo Stato chieda loro di restituire qualcosa.
    Non tutto, sia chiaro — giusto una fettina, sotto forma di tassa o contributo.
    Una piccola quota di quei profitti (non extra) che non vengono dal genio finanziario, ma da contingenze favorevoli e da regole cucite su misura.

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