22 Giugno 2015 - 17.27

CINEMA – Recensione: “La regola del gioco” (Kill the messenger)

recensione la regola del gioco kill the messenger

LA REGOLA DEL GIOCO – Kill the messenger

Di: Michael Cuesta

Con: Jeremy Renner, Ray Liotta, Andy Garcia

@: è la vera storia di Gary Webb, giornalista del “San Josè Mercury News”, che da una piccola città della California raggiunge tutta l’America grazie a uno scoop su scala internazionale. Grazie alla complicità della CIA, negli anni ’80 a Los Angeles, il traffico di droga fu gestito da nicaraguensi che, per finanziare la guerra interna, in cambio di armi, trasportarono e trafficarono negli USA quantitativi di “Crack” per milioni di dollari. Nonostante l’immediata notorietà e riconoscimento, Webb venne attaccato dai colleghi della stampa per invidia e dai servizi segreti per mettere a tacere l’enorme scandalo: nel giro di breve tempo, il giornalista perse l’amato lavoro, famiglia e la sua stessa vita.

+ : ogni tanto sbucano dal nulla storie incredibili. Come si sente nel film “Alcune storie sono troppo vere per essere raccontate”, oppure si potrebbe aggiungere che sono troppo vere per essere capite o accettate. Sono storie che fanno arrabbiare, sono un pugno allo stomaco: com’è possibile che uno stato civile permetta uno scambio armi – droga per mantenere l’ordine da una parte, ma creando un disastro sociale al suo interno? E per di più, data l’enormità dello scandalo, perché viene messo sotto il tappeto come la polvere e permetta la crocifissione mediatica di chi ha denunciato, ha avuto il coraggio di parlare, rischiare la propria vita per essere deriso e messo da parte?

– : la complessità della storia alla fine viene un po’ sacrificata. All’inizio, la tensione per la scoperta di un grosso e losco affare è coinvolgente e permette al film di scorrere nella curiosità e indignazione. Poi, purtroppo, tutto soffoca, come la vita di Webb: non è mai chiaro del tutto chi sia il protagonista dello scandalo, chi vi abbia partecipato, se qualcuno abbia pagato o no per il male commesso. Tutto viene messo in discussione e sotto una luce confusa, così il film lentamente muore come Gary Webb. Sembra spesso che l’aspetto più inquietante sia la perdita degli affetti familiari, a causa di un lavoro scomodo e non sempre ben riconosciuto. In realtà, quello della famiglia, sembra un aspetto che tenta di sminuire il caos generato dalla scoperta di un traffico illecito su scala internazionale: è un tentativo per non screditare del tutto la sicurezza del governo statunitense? Il risultato che si ottiene è quel gusto amaro che lo spettatore si porta a casa: alla fine i buoni non vincono mai del tutto.

***: da anni il giornalismo d’inchiesta, i film denuncia, il lavoro di appassionati della giustizia ci hanno abituati a non essere remissivi, a non abbassare la testa di fronte alle ingiustizie. Ci hanno esortati a non nascondere gli scandali, a rovesciare il sistema dei soldi facili, a non avere paura creare imbarazzo anche nei piani alti del potere: alla fine, sono pochi i giornalisti o scrittori che ce la fanno a rimanere dritti anche nelle peggiori tempeste. Quel poco che basta, tuttavia, per farci sperare in un mondo se non migliore, almeno diverso.

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