Calabria, il voto e la realtà: ko tecnico e campo largo in apnea

Umberto Baldo
Chi aveva immaginato di passare il pomeriggio e la sera davanti alla tv per seguire lo spoglio calabrese, con pop-corn e telecomando in mano, ha avuto una delusione: non c’è stato neppure il tempo di sgranocchiare il primo pacchetto.
E’ bastato il primo exit poll – non la proiezione, proprio l’exit poll! – per capire che la partita era chiusa, tanto che Tridico, il candidato “professore” ex Inps, ha alzato bandiera bianca alle cinque del pomeriggio.
Uno scarto di quasi venti punti: in gergo boxistico si chiama “ko tecnico”. In politica: “disastro annunciato”.
Se volete, potete anche scegliere tra “sberla”, “schianto” o “mazzata calabra”. Tutte valide.
Eppure, come sempre, la cosa più interessante non è il risultato, ma il film che ci hanno provato a vendere prima dei titoli di coda.
Tridico ha tirato fuori il solito bignami dell’assistenzialismo da cabaret.
“Reddito di dignità” da 500 euro per gli over 50 disoccupati; assunzione di 7.000 nuovi forestali (manco fosse il Canada), cancellazione del bollo auto per gli Isee bassi “su consiglio degli esperti dell’Aci”.
Mancava solo la promessa del mare gratis e del gelato al limone per tutti, poi il menù era completo.
È la solita formula della cattiva politica: dare un pesce invece di insegnare a pescare, e magari pure chiedere il voto in cambio della lenza.
Ma la Calabria, questa volta, ha detto no.
Non alla povertà, ma a chi fa della povertà un mestiere elettorale.
Credo che questo tipo di demagogia sia ormai fuori moda, per usare un eufemismo, quindi non posso che rallegrarmi constatando che i calabresi non vogliono la “carità pubblica”, bensì lavoro, occupazione, servizi degni di un Paese civile.
In Calabria, tutto è commissariato: comuni, ospedali, Asl, enti, perfino i commissari dei commissari.
Una giungla di incarichi straordinari che dura da decenni e che nessuno ha avuto il coraggio di affrontare.
Ma in campagna elettorale nessuno ne ha parlato: troppo difficile da spiegare in dieci secondi di Tg.
Meglio promettere miracoli a costo zero.
Salvini ha rilanciato il Ponte sullo Stretto come il nuovo simbolo del rinascimento infrastrutturale del Sud.
Occhiuto l’ha benedetto, Tridico l’ha maledetto.
Morale: si è parlato per settimane di un ponte che, con tutta probabilità, vedranno i pronipoti dei candidati.
Ma il bello è che funziona sempre: ad ogni elezione si costruisce un pezzo di ponte… elettorale.
Altro tema, più politico, era capire se le piazze pro Palestina – quelle che secondo Landini erano da “milioni in marcia” – potessero spostare voti.
Risposta semplice: no.
Cortei, slogan e scioperi generali non spostano consenso, anzi.
La linea Schlein, appiattita su Landini, Conte e sul tandem Fratoianni-Bonelli, non scalda i cuori, ed in Calabria i risultati lo dimostrano.
Le cronache della Flotilla, le manifestazioni e gli scontri non hanno portato voti; forse, paradossalmente, ne hanno regalato qualcuno al Centrodestra.
Mai come oggi Pietro Nenni avrebbe sorriso amaro pronunciando la sua famosa immagine: “Piazze piene, urne vuote”.
Mai come oggi tocchiamo con mano che aveva ragione.
In sintesi, pur rispettando i tanti che partecipano pacificamente alle manifestazioni, credo non sarebbe propriamente corretto ritenere che proprio quelle Piazze siano legate a specifiche sigle politiche, le quali, per la verità, sembrerebbero più che altro averle rincorse e cavalcate. In realtà, quelle stesse Piazze sembrerebbero rifiutare etichette partitiche, esprimendo quella diffidenza sottile tra azione politica e bisogni della popolazione che oramai da anni imperversa, e che si riflette soprattutto nel non voto.
Guardando ai numeri, Forza Italia è il primo Partito con il 17,98%, seguito da Fratelli d’Italia con l’11,64%, e dalla Lega con il 9,40%. Sul versante Campo largo il Pd ottiene il 13,59%, il Movimento 5Stelle il 6,43%, Alleanza verdi Sinistra il 3,85%.
Per quanto mi sforzi, sulla Calabria non trovo altro da dire, se non trasferire questo risultato sul piano politico nazionale.
Elly Schlein aveva immaginato il grande riscatto: Marche, Calabria, Toscana, Campania e Puglia. Un trionfo da raccontare in prima serata.
Invece, al massimo, sarà un pareggio: tre a tre.
Che tradotto in linguaggio politico significa una sola cosa: vittoria del centrodestra, che continua a reggere senza colpi di scena, dopo tre anni di governo.
E nel frattempo, il “Campo largo” resta più che altro un “Campo minato”.
Un Pd che prova a fare da baricentro tra Avs, 5Stelle, Italia viva, +Europa, e magari anche Azione quando ci sta, e a mediare tra baruffe quotidiane e idee agli antipodi. Una sommatoria di offerte politiche e ambizioni personali che ha come unico scopo fare 1+1+1 sperando che faccia tre, e che Meloni si fermi a due.
Crolla anche il mito grillino del “solo i nostri vincono”.
In Calabria correva un volto simbolo del Movimento, il padre del Reddito di cittadinanza, che l’ha rispolverato come “Reddito di dignità”. Ad Ancona invece Matteo Ricci, un candidato riformista del Pd.
Risultato identico: sconfitta netta.
Ma non è solo un problema di numeri.
Per vincere servono anche programmi, idee, progetti, proposte, e francamente se dovessi indicare tre quattro punti chiave di un “programma unitario” della gauche mi troverei in difficoltà.
In pratica siamo di fronte ad una miscela instabile, che ogni giorno rischia l’esplosione.
La realtà ci dice che, piaccia o non piaccia, l’Italia non è mai stata un Paese di sinistra.
Lo sanno tutti, anche se non lo dicono.
E chi prova a vincere spostandosi sempre più su temi da Centri sociali e Movimenti, proponendo più tasse, patrimoniali, più “No a tutto”, e più nostalgia del Sessantotto, non va lontano.
La gente vuole strade, lavoro, scuole, sicurezza, non conferenze sulla decrescita felice o processioni contro il “fascismo immaginario”.
E allora sì, forse il voto calabrese è solo un dettaglio nel quadro nazionale; ma un dettaglio che dice molto: la stagione delle chiacchiere è finita.
E chi a gauche non lo capisce a destinato a perdere anche le prossime politiche.
Umberto Baldo













