Borse di studio o borseggi di Stato?

Umberto Baldo
Ormai l’Italia sembra diventata un laboratorio mondiale per chi vuole sperimentare la creatività criminale. Altro che Silicon Valley: qui da noi si inventano truffe.
Dai bonus edilizi ai finti invalidi, dal Reddito di Cittadinanza elargito a legioni di romeni non residenti, ai contributi fasulli.
Ora è il turno delle borse di studio, che in teoria dovrebbero garantire il diritto allo studio ai ragazzi meritevoli ma privi di mezzi. In pratica, ultimamente sono diventate il banchetto per gozzovigliare a spese dello Stato.
Altro che Università.
In Italia la facoltà più gettonata è quella di “Furbizia applicata alla truffa”, con esami facili facili: un po’ di Photoshop per ritoccare l’Isee, qualche timbro inventato, due firme fasulle ed ecco pronta la pergamena con scritto: “Borsa di studio vinta, a spese del contribuente fesso”.
Certo il caso più pittoresco e sconcertante arriva dall’India, dove un gruppo di studenti iscritti a Facoltà italiche, ha pensato bene di specializzarsi in “arti applicate alla falsificazione”: documenti taroccati, timbri inventati, firme più false delle scuse di un fannullone.
Risultato? 24 studenti indiani denunciati per falsità materiale, uso di atto falso e truffa aggravata, 200 atti farlocchi, contributi per 180mila euro, persino pescati tra i fondi del Pnrr.
Altro che globalizzazione della conoscenza: qui siamo alla globalizzazione della truffa.
Ma non illudiamoci che la cosa finisca a Mumbai.
Il grosso, purtroppo, è made in Italy.
Tra gennaio 2024 e agosto 2025, la Guardia di Finanza ha scoperchiato un pentolone ribollente: 967 controlli negli atenei, 5,2 milioni di euro di borse di studio passati al setaccio, e – tenetevi forte – il 22,5% degli aiuti erogati in modo irregolare.
Significa che uno studente su quattro, più o meno, ha provato a farsi furbo.
Il trucco più usato? Truccare l’Isee e l’Ispe, ovvero dichiarare la famiglia più povera di quanto sia. E qui non parliamo solo del classico studente squattrinato: ci sono casi di frodi organizzate, con documenti falsi, cifre manipolate e sistemi pensati e costruiti per fregare lo Stato.
Alla fine i numeri fanno impressione: 1,17 milioni di euro erogati a chi non ne aveva diritto, 878mila euro bloccati per tempo, 334 denunce penali e 50 segnalazioni disciplinari.
Ora, qualcuno dirà: “Ma in fondo, di che stiamo parlando? Non sono cifre enormi rispetto alle grandi ruberie nazionali”.
Vero. Ma qui è in gioco qualcosa di peggio: l’etica.
Perché ogni euro rubato non è tolto a un anonimo “Stato” senza volto, ma a uno studente vero, magari più brillante e più bisognoso, che quella borsa di studio non l’ha avuta.
Come ha detto la ministra Bernini, rendendo nota la truffa al Forum Ambrosetti: “Proteggere i fondi pubblici significa garantire equità e diritto allo studio”. Parole giuste, che però da sole non bastano.
Ecco perché io, oltre alle pene previste dal codice criminale, aggiungerei una pena accessoria: chi bara, chi falsifica, chi si iscrive al master in “truffa e raggiro”, dovrebbe essere radiato da qualsiasi corso universitario. A vita. Vuoi fare il furbo? Bene, allora vai a zappare i campi o a fare fotocopie in un ufficio, ma di sederti tra i banchi non se ne parla.
Non serve a nulla riempire le aule di chi confonde lo studio con il furto.
Perché diciamolo chiaramente: a 20 anni puoi sbagliare, puoi perfino farti bocciare tre volte ad un esame.
Ma se falsifichi i documenti per fregare il prossimo, non sei un ragazzo sfortunato: sei un ladro in erba.
E di piccoli ladri travestiti da studenti, francamente, possiamo farne a meno.
Ma, concludendo, il vero scandalo non sono i milioni persi, ma un Paese che ha perso il senso del limite.
Lo Stato non è più la casa comune, ma una vacca da mungere: ci si attacca alla mammella pubblica senza neppure la vergogna di avere il latte che cola dalla bocca.
Così l’Italia è diventata un laboratorio mondiale non di innovazione, ma di creatività criminale. Altro che Silicon Valley: siamo la Truffa Valley.
E la cosa più amara è che qui la furbizia non è più un vizio, ma un valore sociale.
Non stupiamoci allora se i giovani migliori se ne vanno all’estero: restano i campioni del raggiro, i laureati in “furbizia applicata” con master in parassitismo.
Finché continueremo a premiare chi ruba invece di chi studia, non andremo mai da nessuna parte.
Perché, diciamolo chiaramente: in Italia il titolo più ambito resta quello di “dottore in truffa, con lode e menzione speciale”.
Umberto Baldo













