2 Dicembre 2025 - 9.09

Il sole mette a terra 6000 Airbus320

Nell’immaginario collettivo l’aviazione civile è l’emblema del controllo umano sulla tecnologia: macchine perfette, ridondanti, progettate per prevedere qualsiasi evenienza.
E invece, ogni tanto, arriva qualcosa che manda in tilt lo schema mentale: un elemento semplice, primordiale, che ci accompagna da miliardi di anni: il Sole.

La storia di queste settimane è tutta qui: 6.000 Airbus della famiglia A320 messi temporaneamente a terra perché una tempesta di radiazioni solari ha mostrato che anche i giganti dell’aria possono inciampare.

Il campanello d’allarme è suonato il 30 ottobre sopra i cieli della Florida, quando un A320 in servizio fra Cancún e Newark ha improvvisamente perso quota senza nessuna decisione dei piloti.
Pilota automatico inserito, aereo stabile, poi all’improvviso il muso che scende come in un videogioco mal calibrato.
Atterraggio d’emergenza a Tampa, quindici passeggeri feriti, e una domanda pesante: chi ha dato quell’ordine?

Gli investigatori puntano dritti all’ELAC 2, uno dei computer che controllano superfici di coda e ali.
Non trovano un componente bruciato o un circuito stanco: trovano un comando interno partito dal nulla, come se un dito invisibile avesse premuto un pulsante proibito.
La sostituzione dell’unità risolve il problema, ma l’origine dell’incidente arriva poco dopo: un picco di irradiazione solare abbastanza potente da disturbare l’elettronica di bordo.

Non fantascienza.
Non una leggenda metropolitana.
Un fenomeno reale, riconosciuto, e — secondo EASA — sufficiente a generare movimenti incontrollati e a stressare la componente informatica degli aerei oltre i limiti previsti.

A questo punto le autorità tirano il freno a mano in corsa.
Direttiva d’emergenza: controlli immediati su più di seimila aeromobili della famiglia A320 in tutto il mondo.
Risultato: ritardi, ripianificazioni, qualche cancellazione.

Gli interventi previsti sono due: reinstallare una versione precedente del software degli  ELAC, ritenuta più stabile; oppure sostituire l’intero computer quando troppo vulnerabile.
Parola d’ordine: niente voli finché non è tutto in ordine.

Le compagnie reagiscono come possono: Wizz Air parla di disagi, easyJet dice di aver già aggiornato tutto, American Airlines ammette che oltre duecento aerei dovranno passare in officina.
In Oceania Jetstar cancella voli, Air New Zealand anticipa impatti sulle rotte.
Intanto il passeggero, come sempre, naviga tra notifiche, app che cambiano colore e gate che cambiano umore.

Ma la lezione vera non riguarda un circuito, né un software, né un protocollo.
Riguarda noi.

Viviamo convinti di aver messo la natura in un angolo, di averla addomesticata con la tecnologia.
E poi arriva un’ondata di particelle solari — la stessa forza che i nostri antenati osservavano senza comprenderla, la stessa che per i Greci era un dio — e manda in crisi l’elettronica degli aerei più diffusi al mondo.

È qui che il mito torna utile più di mille grafici.
Perché l’uomo che vola troppo in alto, spinto dalla sicurezza delle proprie ali artificiali, l’abbiamo già visto: si chiamava Icaro, e non è mai uscito dalle nostre teste.
Non perché avesse sbagliato rotta, ma perché aveva creduto che il Sole fosse un dettaglio.

Oggi non ci scioglie la cera, ma ci manda in tilt i computer di bordo.
Il meccanismo simbolico è lo stesso: il limite non lo decide l’uomo, lo ricorda la natura.

E non c’è nulla di apocalittico in tutto questo.
Semmai, un’ironia cosmica: più diventiamo sofisticati, più il mondo reale trova il modo di rimetterci in riga.

La scelta di tornare ad un software più vecchio — più prevedibile — lo dimostra.
Quando le cose si complicano, l’innovazione viene messa un attimo in pausa, e si torna alla prudenza: verifiche, conferme, nessuna improvvisazione.
È ciò che ha reso l’aviazione uno dei settori più sicuri al mondo.

Ad oggi sembra che l’emergenza sia già rientrata
Di certo la settimana è stata agitata.
Ma se c’è un elemento positivo, è la rapidità con cui il sistema ha reagito, prima che un incidente isolato diventasse un pattern.

E nella lunga storia dell’uomo che tenta di volare, questo rimane un segnale incoraggiante: che le nostre ali, pur tecnologiche, funzionano ancora meglio quando ricordiamo che sopra di noi c’è sempre il Sole.
E che il mito, ogni tanto, ha ancora qualcosa da insegnarci.

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