26 Novembre 2025 - 9.35

La Lega rinasce… ma solo dove comanda Zaia

Umberto Baldo

Le elezioni, anche quelle che sembrano già decise, riescono sempre a tirare fuori qualche sorpresa. 

Relativamente  alle regionali di domenica e lunedì scorsi guardate che nessuno ai vertici dei grandi partiti si aspettava la sconfitta di Decaro, Fico e Stefani. 

Le discussioni erano tutte sul “quanto vinciamo”, mai sul ” e se perdiamo”.

Le variabili erano solamente legate alle dimensioni della vittoria, ai voti.

Già perché a differenza di quello che diceva Enrico Cuccia secondo cui le azioni “non si contano ma si pesano”, per i voti non funziona così: i voti si contano e chi ha fatto politica sa bene che i risultati reali sono spesso inferiori alle pacche sulle spalle di amici e conoscenti.

E quando i voti li conti davvero, spesso scopri che le promesse degli amici entusiasti, dei “tranquillo, ti voto”, evaporano come neve al sole.

L’ansia da prestazione poi gioca brutti scherzi anche ai professionisti della penna. 

Così abbiamo visto commentatori blasonati ripetere fino alla vigilia che in Veneto FdI avrebbe stracciato una Lega messa all’angolo. 

Persino gli Instant Poll sembravano confermare il ribaltone, salvo poi venire smentiti dagli exit poll, e infine dai numeri veri, quelli che non guardano in faccia nessuno.

Morale: i voti vanno contati, non immaginati.

Spesso uso il termine eterogenesi dei fini, ma nel caso dei risultati della Lega in Veneto il concetto calza a pennello.

Perché dopo i mille “no” (no al terzo mandato, no alla lista Zaia, no al nome nel simbolo), Luca Zaia ha dimostrato che i veneti lo avrebbero voluto ancora Presidente — eccome se lo avrebbero voluto. 

E non solo: guidando le liste del Carroccio in tutte le province, ha anche salvato letteralmente il culo (mi si scusi il francesismo) a Capitan Salvini. 

Sì, perché in Puglia e Campania la Lega non ha certo brillato, anzi.

Naturalmente Salvini non ha alcun interesse ad ammetterlo, ma senza i 200mila voti raccolti da Zaia, la sfida con FdI in Veneto sarebbe stata tutta un’altra musica. E non in meglio. 

E questo senza considerare due fattori pesanti: l’affluenza crollata di 15 punti, e l’assenza della “Lista Zaia”, bloccata sia da FdI che dalla stessa Lega. 

Se quella lista avesse visto la luce, il risultato sarebbe stato probabilmente ancora più clamoroso.

Zaia lo sa bene e si toglie qualche sassolino: «Se dopo 15 anni ancora così tanta gente mi vuole bene, vorrà pur dire qualcosa». 

E ancora: ”Adesso tutti hanno capito cosa intendevo quando dicevo vedrò di essere un problema. Andate a guardare i dati e capirete”. 

E per essere ancora più chiaro: «Se oggi avessimo avuto la Lista Zaia questa maggioranza avrebbe avuto ancora più consiglieri. Si governa con i consiglieri non con le chiacchiere. E noi qui stiamo compiendo una missione impossibile se pensiamo agli ultimi risultati delle Europee”.

Già, perché partendo dal 37,6% di FdI alle Europee, a fronte del misero 13,1% della Lega, la rimonta sembrava roba da scalata dell’Everest. 

E invece eccoci qua: Lega al 36,28% e FdI relegata al 18,69%. 

Un ribaltone che, al di là di tutto, porta impresso un nome e cognome, non un simbolo di partito. 

Nel mio comune, per dire, Zaia non si è visto nemmeno col telescopio, eppure la Lega ha asfaltato tutti.

Poi, per aggiungere un pizzico di veleno ben dosato, in conferenza stampa Zaia ha ricordato a tutti: «Da oggi sono perfettamente ricandidabile». 

Un incubo per chi sperava di aver archiviato per sempre la “questione Zaia”.

Sul suo futuro si fantastica molto: ruoli nazionali, presidenze, incarichi romani… ma ad occhio e croce, a mio avviso Zaia almeno per il momento non ha alcuna fretta di lasciare il Veneto. 

E qui arriva il punto politico serio: il voto veneto è la grande rivincita della vecchia “Lega Nord” sul partito sovranista e vannacciano, che, dopo la figuraccia in Toscana, conferma una sua flessione, rispetto alla volta scorsa, anche in Puglia (8,04) e Campania (5,51%).

Ed eccoci così arrivati alla madre di tutte le questioni: la questione settentrionale, che tutti vogliono negare, ma che continua a scorrere come un fiume carsico, e che in Veneto molti non hanno mai dimenticato. 

Salvini può ignorarla, può far finta che non esista.

Ma chi capisce di politica sa bene che non è questione di amarcord, di Padanie perdute, di elmi cornuti sul pratone di Pontida, di  cerimonie alle sorgenti del Po sul Monviso.

Quello era folclore, ma qui si parla d’altro. 

Il voto veneto sembra dimostrare che il  “sindacato di territorio” o, se preferite, il “partito del Pil” consente di avere ancora uno spazio sia di azione politica, sia di reale rappresentanza di interessi del Nord produttivo.

In altre parole a nord del Po si discute di autonomia, imprese, infrastrutture serie; altrove si parla di Stretto di Messina, Le Pen, no-vax, dazi, Putin e condoni ribattezzati “paci fiscali”: 

E i veneti, numeri alla mano, hanno detto la loro.

Gira e rigira, la domanda resta sempre la stessa: può la Lega continuare ad essere due partiti in uno solo?

Zaia un’idea ce l’ha, e non la nasconde: il modello CDU-CSU tedesco; due entità distinte, un patto federativo comune. 

Non è un vezzo, è una proposta politica vera. E non è solo: Fontana, Fedriga e Fugatti, gli altri Presidenti delle Regioni del Nord sembrano pensarla allo stesso modo.

Salvini, ovviamente, non è convinto. 

Ma il nodo è lì, enorme e irrisolto. Prima o poi qualcuno dovrà tagliarlo. 

E quel qualcuno, dopo il voto veneto, potrebbe avere un nome che a Roma da ieri notte forse farà dormire sonni meno sereni a più di qualche politico: Luca Zaia.

Umberto Baldo

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