24 Novembre 2025 - 13.59

Regionali Campania, Puglia, Veneto.  Deluso chi sperava nell’ effetto Mamdani

Umberto Baldo

In attesa dei dati definitivi – quelli veri, che tagliano corto con i comunicati trionfalistici dei leader, e dicono senza pietà com’è andata – una cosa su queste regionali in Veneto, Puglia e Campania è già chiara: chi sognava un “effetto Mamdani” farà bene a prepararsi ad una delusione cocente. 

Perché vale la pena ricordarlo: la recente e travolgente vittoria di Zohran Mamdani a New York aveva acceso parecchi entusiasmi a sinistra. 

Era sembrata la prova provata che un approccio bottom-up, quasi spontaneo, potesse alimentare una spinta politico-ideologica socialista del tutto fuori dagli schemi del liberalismo classico dei Democratici americani. 

In tanti si erano convinti che quel modello fosse esportabile, quasi automaticamente.

E invece no. 

Nonostante scioperi politici, mobilitazioni pro-Palestina (a Bologna più simili a una guerriglia urbana messa in scena da gruppetti organizzati in stile tupamaros), e piazze strapiene, è arrivata la secchiata d’acqua gelida dei numeri sull’affluenza. 

Numeri che parlano molto più di mille cori urlati.

Ecco perché, al di là del vecchio ma sempre attuale “piazze piene e urne vuote” di memoria nenniana, forse è il momento di chiederci seriamente – tutti, nessuno escluso – se esiste ancora un legame reale tra piazza e istituzioni, tra protesta e partiti, tra l’umore di interi segmenti dell’opinione pubblica e il loro effettivo comportamento dentro l’urna. 

Perché la sensazione è che quella connessione si stia sfilacciando, se non proprio dissolvendo.

I dati dell’affluenza alle 23 di ieri sera parlano da soli: a livello nazionale il calo è di circa dieci punti (31,96% contro il 41,53% del 2020). In Campania si scende dal 38,91% al 32,07%, in Puglia dal 39,88% al 29,45%, in Veneto addirittura dal 46,13% al 33,08%.

E questo nonostante non si trattasse di un giro di amministrative qualunque: queste elezioni chiudono una stagione politica intera. Finisce l’era lunga di Luca Zaia in Veneto, di Vincenzo De Luca in Campania e di Michele Emiliano in Puglia. Tre presidenti che hanno monopolizzato la scena regionale per oltre dieci anni e che, pur lasciando gli uffici, non sembrano per nulla intenzionati a farsi da parte.

Da veneto, quel “meno 13%” impressiona. 

Ed è difficile immaginare che il voto del lunedì possa ribaltarlo. 

A questo punto la domanda sorge spontanea: questo calo è l’eco dell’“effetto Zaia”? 

Nel senso che molti elettori non leghisti stimavano il Presidente e non avevano problemi a votarlo. 

E ora, senza Zaia da sostenere, si sono detti: “stavolta passo, resto a casa”.

C’è poi un’altra lettura possibile: l’assenza quasi totale di liste chiaramente ispirate ad un’area liberal-democratica. 

Una mancanza che ha finito per spingere all’astensione quei cittadini che non vogliono votare né “fascista”, né “comunista”, né “leghista”. E no, non è una caricatura: è un ragionamento che ho sentito fare davvero.

L’astensionismo, si dice, è la malattia delle democrazie mature. 

Sarà anche vero. 

Ma resta un problema enorme: come farà il nuovo presidente del Veneto a dichiarare di rappresentare “tutti i veneti” se a sceglierlo è stato meno del 40% degli aventi diritto?

In conclusione, prima ancora dei risultati, il dato che pesa è questo: una partecipazione in caduta libera. 

Una costante che accompagna anche quest’ultimo giro di regionali prima delle grandi sfide nazionali, e che avevamo già visto in Toscana, Marche, Calabria e Valle d’Aosta.

Un segnale che vale quanto – se non più – delle percentuali finali. E che, francamente, dovrebbe far riflettere più di qualunque commento post-voto.

Umberto Baldo

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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