Serie TV – The Beast in Me, una sorpresa magnetica nel panorama televisivo

“The Beast in Me” (su Netflix) è una di quelle serie che arrivano in sordina e poi ti travolgono. È sorprendente scoprire che si tratta del primo grande progetto per Gabe Rotter come creatore, sceneggiatore e produttore esecutivo, perché la maturità della scrittura, la compattezza dello stile e la sicurezza registica raccontano l’opposto: un autore già pienamente padrone dei suoi strumenti. Ma la serie non sarebbe ciò che è senza l’alchimia straordinaria tra Claire Danes e Matthew Rhys, due prove attoriali che elevano un thriller psicologico già eccellente a un livello superiore.
Danes interpreta Aggie Wiggs, scrittrice affermata ma bloccata sul suo nuovo libro e devastata dalla perdita del figlio, morto quattro anni prima investito da un guidatore ubriaco. Vive sola nella casa che avrebbe dovuto essere quella della sua famiglia, in un equilibrio instabile fatto di rabbia, lutto e mancanza di pace. Il responsabile della morte del bambino – Teddy, mai realmente punito – è una presenza costante e dolorosa nel suo quartiere, finché non sparisce improvvisamente in circostanze sospette.
L’arrivo del vicino Nile Jarvis (Rhys), rampollo di una potente famiglia immobiliare e principale sospettato della scomparsa della moglie, introduce nella vita di Aggie un antagonista irresistibile. Jarvis è arrogante, opaco, disturbante, e proprio per questo perfetto per far detonare ciò che Aggie tiene represso. Il loro primo scontro – lui vuole aprire un sentiero di jogging in un bosco comunale, lei è l’unica a opporsi – dà il tono a una relazione che evolve in un labirinto di sospetti, attrazione, manipolazioni e verità taciute.
Quando un agente dell’FBI, ubriaco e tormentato, si presenta da Aggie per avvertirla che Jarvis “non è come noi”, i confini tra intuizione, paranoia e pericolo reale diventano sempre più labili. E mentre Aggie accetta di scrivere la storia di Nile come copertura per indagare sulla scomparsa di Teddy, la serie si espande in una rete di trame parallele: l’ingombrante figura del patriarca Martin Jarvis, gli intrighi politici della consigliera Olivia Benitez, il rapporto ambiguo tra Nina (la nuova moglie di Nile) e Shelley (l’ex compagna di Aggie), fino ai possibili ricatti che minacciano l’agente Abbott.
Nonostante l’ampiezza del mondo narrativo, “The Beast in Me” resta fondamentalmente un duello attoriale. Danes offre un personaggio fratturato e fierissimo, una donna che combatte per non soccombere al proprio dolore; Rhys costruisce un uomo enigmatico, sempre in bilico tra vittima e predatore. Insieme creano un’energia che domina la serie: ogni scena condivisa è una partita a scacchi emotiva, una danza tesa che mette continuamente in discussione chi stia davvero controllando chi.
Rotter orchestra tutto con uno stile elegante, una scrittura brillante e dialoghi che non sprecano una sillaba. “The Beast in Me” è un thriller psicologico serrato, capace di avvolgere lo spettatore senza ricorrere a colpi di scena gratuiti: il vero motore è la complessità dei personaggi, le loro ferite, i loro desideri e i mostri che si portano dentro.
È una serie che non si guarda: si assorbe. E quando finisce, lascia una scia lunga, come fanno le storie migliori. Premi e riconoscimenti arriveranno quasi certamente. Nell’attesa, è impossibile staccare lo sguardo.













