L’Ucraina è l’Università degli eserciti

Umberto Baldo
Com’era inevitabile, la retorica pro-Pal, che inutile nasconderlo ha una fortissima componente antisemita, ha finito per, non dico eclissare, ma sicuramente silenziare, quello che succede nelle pianure ucraine.
E’ chiaro che le mobilitazioni di piazza, unite ai deliri per i destini della Flotilla, hanno consentito allo zio Vladimir di continuare la sua guerra di aggressione con meno riflettori addosso.
Scusate la polemica, ma chissà se prima o poi qualche rappresentante di quell’inutile carrozzone che è diventato l’ONU, ci spiegherà perché attaccare città con droni e missili, uccidere civili e rapire bambini è “genocidio” se lo fa Israele, mentre è “guerra patriottica” se lo fa la Russia.
Così, tanto per saperci regolare.
Restando in tema, sono passati ormai quasi tre anni dall’inizio dell’invasione russa, e nel corso del tempo abbiamo visto un’evoluzione del modo di combattere, dei mezzi e delle tecnologie utilizzate sul campo.
Questo conflitto viene ormai considerato un esempio cruciale di guerra moderna, per il suo carattere ibrido e per l’uso sistematico di tecnologie militari emergenti, come robot e droni commerciali, che stanno ridefinendo le operazioni belliche.
Per fare un paragone calzante, questa guerra è vista come un’anticipazione dei conflitti futuri, allo stesso modo in cui la guerra civile spagnola prefigurò la Seconda guerra mondiale.
In poche parole: il banco di prova delle armi e del modo di combattere dell’immediato futuro.
In quest’ottica, usando una similitudine che mi piace, credo si possa dire che l’Ucraina rappresenti in questa fase l’Università degli eserciti europei, e non solo.
L’Ucraina possiede oggi la più grande forza armata sul suolo europeo dopo quella russa, la quinta al mondo, temprata da tre anni di conflitto ad alta intensità contro una superpotenza militare.
Ad inizio 2025, il presidente Volodymyr Zelensky parlava di 980 mila effettivi, quattro volte tanto l’esercito francese, tanto per capirci.
Questo dato non sfugge ai Paesi UE, che in un documento adottato al Consiglio Europeo hanno scritto che le capacità militari ucraine sono una “componente essenziale” dell’approccio “pace attraverso la forza”.
Di fatto, i Paesi europei riconoscono esplicitamente che la sicurezza dell’Ucraina contribuisce alla loro, e a tal fine “includeranno i contributi diretti verso la difesa dell’Ucraina e la sua industria militare nel calcolo della spesa per la difesa”, legando così a doppio filo Kyiv e le sue aziende allo sviluppo della sicurezza europea.
Nelle capitali europee si è dovuto riconoscere che gli armamenti prodotti in Ucraina sono migliori, più intelligenti, più economici, e soprattutto arrivano più velocemente sul campo.
La guerra in corso ha mostrato, se non l’obsolescenza, almeno la scarsa versatilità delle armi tradizionali (carri armati compresi) a vantaggio di apparecchi più leggeri e adattabili.
L’esempio più significativo è quello dell’industria della difesa statunitense.
Washington copre il 43% delle esportazioni globali di armi, ma nel corso dei decenni è passata dal produrre equipaggiamento in quantità (per sostenere le guerre degli anni Quaranta e Sessanta) a fabbricare pochi armamenti estremamente sofisticati.
Lo racconta The Economist, evidenziando che questo cambiamento ha spinto le industrie USA a consolidarsi — 29.000 nel 2022 contro le 42.000 del 2000 — e a specializzarsi, tanto che molte sono ormai l’unico fornitore di un certo componente.
Tutto questo pesa sulla velocità di produzione: oggi fabbricare la maggior parte dei sistemi d’arma richiede almeno un anno; un anno e mezzo per un caccia; due per i missili a lunga gittata. E risulta quasi impossibile convertire rapidamente una linea di produzione per un nuovo prodotto.
Questa struttura produttiva, comune anche a molti Paesi europei, non è più valida per l’Ucraina.
Quando la Russia l’ha invasa, nel febbraio 2022, l’82% dell’industria bellica era in mano allo Stato, che produceva il 90% dell’equipaggiamento ucraino.
Ma dal 2023 il Paese ha assistito ad una vera e propria esplosione di nuove aziende private, che oggi rappresentano il 58% dell’industria.
Hanno ignorato le vecchie fabbriche sovietiche, creando linee produttive agili in piccoli capannoni sparsi sul territorio, e quindi teoricamente meno individuabili.
Avrete capito che quello di cui sto parlando non è solo di guerra, bensì di processi industriali.
“Quello che potrebbe richiedere mesi o anni di sviluppo, collaudo e produzione in Occidente, qui richiede solo settimane”, ha spiegato un funzionario delle forze armate ucraine a Foreign Policy. “Siamo il miglior campo di prova al mondo, perché gli errori qui significano morte: possiamo dirvi molto rapidamente se e come il vostro prodotto funziona, o non funziona, direttamente sul campo di battaglia.”
È probabile che questa guerra passi alla storia come la prima guerra dei droni.
Nel 2024, le aziende ucraine ne hanno prodotti 2,2 milioni: il 95% di quelli utilizzati dalle forze armate.
Il numero, che già supera l’intera produzione europea, è destinato a crescere nel 2025.
I droni FPV (con visione in prima persona) sono responsabili dell’80% delle perdite russe e stanno ridefinendo i paradigmi del combattimento moderno.
L’implementazione dell’intelligenza artificiale, della guerra cibernetica e dei sistemi autonomi procede a ritmi che l’industria occidentale, Stati Uniti compresi, può solo invidiare.
Naturale, quindi, che lontano dai riflettori sia iniziata un’interconnessione fra le maggiori industrie europee e quelle ucraine, anche con l’apertura di fabbriche in loco (Rheinmetall e BAE Systems, per esempio).
Ecco perché la guerra ha convertito l’Ucraina nella prima linea di difesa europea; e l’integrazione industriale la sta trasformando nel cuore pulsante di una nuova architettura di sicurezza continentale.
Chi si chiede dove un esercito impari davvero a combattere trova una risposta amara: non nei manuali né nelle accademie militari, e neppure nelle esercitazioni. Quelle servono solo a dare regole, disciplina, spirito di corpo.
Ma la guerra vera è un’altra cosa. Oggi la si impara solo nelle pianure ucraine, combattendo l’esercito russo, e nei capannoni dove si costruiscono armi innovative.
Per noi europei il messaggio è altrettanto chiaro: la sicurezza del continente non si può più appaltare né agli Stati Uniti né alla diplomazia astratta.
La sicurezza richiede innovazione, produzione, ricerca.
E soprattutto richiede di imparare adesso dall’Ucraina che la resilienza non è una virtù retorica, ma un’infrastruttura concreta fatta di officine, codici, fabbriche e brevetti.
Ecco perché oggi, più che mai, l’Ucraina rappresenta davvero l’Università degli eserciti.
Umberto Baldo













