14 Ottobre 2025 - 9.46

Gli Usa, Hamas e le ipocrisie dei pacifisti Pro Pal nostrani

Ma davvero qualcuno pensa che si sia arrivati alla tregua in Medio Oriente senza che gli Stati Uniti abbiano parlato direttamente con Hamas?

Su, non prendiamoci in giro. 

Le guerre (e le tregue) non si chiudono con i piccioni viaggiatori o per il mezzo di intermediari.  Prima o poi bisogna guardarsi in faccia, anche se dall’altra parte del tavolo c’è chi ti ha giurato odio eterno.

E infatti, è successo.
Già nel marzo 2025 Axios scriveva che l’amministrazione Trump stava trattando direttamente con Hamasper il rilascio di ostaggi americani a Gaza. 

Una cosa mai vista: gli USA che parlano con un’organizzazione da loro stessi bollata come “terroristica”.
E oggi lo confermano tutti i grandi giornali americani: emissari di Trump — Jared Kushner e Steve Witkoff — hanno incontrato nei giorni scorsi i leader di Hamas, compreso il Capo, quello che Israele aveva provato a eliminare con l’attacco a Doha.
Pare ci siano state perfino strette di mano.
È evidente che tutto ciò sia avvenuto con il via libera (privato, ma concreto) di Trump. 

Non serviva un genio per capire che, senza contatto diretto, la tregua non sarebbe mai nata.

Morale che non mi stanco mai di ripetere: in politica estera non contano le regole morali, ma i risultati.
Si tratta anche con Belzebù, se serve. E a Washington lo sanno bene.

Eppure, nonostante Hamas abbia trattato con “il grande Satana” americano, e gli ostaggi israeliani ed i detenuti palestinesi  siano tornati a casa, la carovana dei Pro-Pal continua a sfilare.
Gli slogan? Sempre quelli: “Meloni complice del genocidio”, “Israele potenza coloniale”, “Flotilla bloccata”, “Accordo imposto ai palestinesi”.
Un disco rotto, ma con l’audio sempre più stonato.

Nel frattempo, in piazza della Scala a Milano, ieri centri sociali e USB hanno chiesto di cancellare il gemellaggio con Tel Aviv; il PD vorrebbe farlo con Gaza, tanto per non sbagliare lato.
Richiesta respinta, ovviamente. E giù scontri con la polizia, cortei, fumogeni, il solito copione da rivoluzione in saldo.

Le proteste si spostano ancora nelle Università, dove gli studenti “impegnati” occupano le aule che già avevano liberato da ogni collaborazione con atenei americani.
E mentre i “pacifisti” assaltano le aziende della difesa, l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, commenta amaro: «Stanno demonizzando chi lavora per la sicurezza».
A Udine il Comitato per la Palestina lo dice chiaramente: l’accordo Israele-Hamas “non cambia nulla”.
Anzi, vorrebbero annullare la partita della Nazionale contro la rappresentativa ebraica. Israele? Da escludere dalla UEFA.
Alla Festa del Cinema di Roma, infine, hanno chiesto di boicottare film, registi e produttori israeliani. Per la pace, ovviamente.

Insomma, anche quando smettono le bombe, i “professionisti del No” non mollano.
Non va mai bene nulla.
La tregua non è “giusta”, l’accordo non è “equilibrato”, e in fondo — diciamolo — non li avrebbe soddisfatti neppure la sparizione d’Israele dalla carta geografica (che poi è l’obiettivo neanche tanto nascosto).

Io, modestamente, ragiono in modo più semplice.
Cos’era più importante?
Fermare la guerra, le morti, le distruzioni, i bambini affamati sotto le macerie.
Scusate se è poco.
A meno che non valga di più l’utopia infantile della “Palestina dal fiume al mare”.

Resta un abisso di odio profondo settant’anni. 

Ma se non altro, per una volta, qualcuno ha avuto il coraggio di parlare col nemico.
E questo, nel Medio Oriente delle ipocrisie e dei fanatismi, per me vale più di mille bandiere agitate in piazza.

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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