1 Ottobre 2025 - 9.44

Goji, quinoa ed altre bufale al gusto di marketing. Chi ne guadagna? La dieta dei sospetti

Umberto Baldo

Siamo un popolo che da sempre  ama mangiare, non c’è dubbio. 

La differenza è che oggi non ci limitiamo più a “mangiare e basta”, ma pretendiamo di farlo con stile, con coscienza e possibilmente con un’aura da santoni della nutrizione. 

Lo conferma un dato: il 73% degli italiani dichiara che le proprie scelte alimentari sono guidate dalla salute. Percentuale più alta in Europa. 

Altro che pizza, spaghetti e mandolino: ormai sembriamo diventati un popolo di piccoli medici nutrizionisti, sempre pronti a valutare calorie, proteine, indice glicemico.

E non è una moda passeggera: è una rivoluzione culturale che parte dalla tavola. 

Ce lo dicono la pubblicità e, soprattutto, la Rete.

Provate a navigare senza incappare in un “nutrizionista improvvisato” su Facebook o Instagram che vi spiega come sopravvivere a base di bacche esotiche e semi vari. 

È impossibile. 

E dopo aver letto dieci post di fila, la domanda sorge spontanea: ma allora, che cosa si può davvero mangiare?

La lista dei “cibi nemici” cresce a dismisura: la farina fa malissimo, lo zucchero è veleno, la carne è un delitto, il sale è meglio evitarlo (a meno che non sia quello rosa dell’Himalaya, che invece fa miracoli: non si sa bene quali, ma fa figo). 

Poi arrivano i superfood: curcuma, bacche di goji, semi di chia, quinoa… chi non li assume è praticamente destinato ad una morte prematura.

Il problema è che queste informazioni si contraddicono tra loro. 

Così ci ritroviamo storditi, confusi, con la sensazione che, tra alimenti banditi e cibi miracolosi, l’unica certezza sia che qualcuno ci sta prendendo in giro. 

E quando uno si prende la briga di approfondire, scopre che le bacche di goji  hanno sì doti antiossidanti, vitamine e minerali, ma nulla di più di una comune mela. 

La quinoa ha proteine, certo, ma meno del grano saraceno che coltivavano i nostri nonni. 

E quindi? Possiamo tranquillamente farne a meno.

Anzi, se vai a leggere per bene, scopri che anche i cibi più “sani” hanno controindicazioni. 

Esattamente come le medicine, che se leggi il bugiardino ti passa la voglia di curarti.

Torniamo alle bacche di goji: oltre due cucchiaini al giorno  rischi problemi di pressione, glicemia e interazioni pericolose con i farmaci. 

E pensare che te le vendono come se fossero pillole di immortalità.

Io non vi darò ricette di longevità. 

Personalmente, pur riconoscendo che la dieta mediterranea sia la soluzione più sensata (e più gustosa), continuo a credere nella saggezza dei nostri vecchi: “quel che no sòfega ingrassa”.

Tradotto: l’uomo, onnivoro da sempre, può mangiare di tutto, purché con misura. 

E soprattutto ricordandosi che la quantità conta, perché anche l’acqua, anche “sorella acqua”, bevuta in eccesso, può diventare pericolosa.

Chiaro, se ti scòfani ogni giorno quei panini extralarge dei fast food (non faccio nomi per evitare querele), non aspettarti esami del sangue con pochi asterischi. 

Ma allo stesso tempo bisogna dirlo: molte dei consigli e delle “avvertenze” che circolano online sono vere e proprie bufale, spesso messe in giro ad arte.

E qui arriviamo al punto che più mi diverte: il balletto degli allarmi alimentari sui social. 

Un giorno ti dicono che il tonno in scatola è veleno puro, pieno di mercurio. 

Panico generale: qualcuno si immagina già con i capelli che cadono solo aprendo la lattina. 

Poi vai a leggere i dati veri e scopri che il contenuto di mercurio nei prodotti delle principali marche è quasi sempre sotto lo 0,5 mg per chilo, ben al di sotto del limite di legge.

Ma il bello viene dopo: qualche mese più tardi compaiono articoli che magnificano il tonno in scatola come alimento perfetto, ricco di proteine e omega-3. 

Stesso alimento, giudizi opposti. 

Oggi ti ammazza, domani ti allunga la vita.

Allora uno, anche se non è complottista, la domanda se la fa: “cui prodest?”. Chi ci guadagna a demolire e poi a riabilitare gli stessi cibi? 

Non fermatevi al tonno: la stessa storia si ripete per uova, latte, caffè, vino, e poteri continuare per una giornata. 

“Stop and go”, male oggi, bene domani.

E qui il sospetto sorge spontaneo: non è che dietro queste campagne ci siano interessi economici? 

Immagino funzioni così: parte l’allarme, i consumatori spaventati comprano meno. 

Allora i produttori corrono ai ripari, arruolano un professore compiacente o una ricerca universitaria “su misura”, e rilanciano la contro-campagna per risollevare le vendite.

Fantascienza? Forse. 

Ma viviamo in un mondo in cui il marketing vale più della verità, e gli interessi commerciali pesano più della salute pubblica.

Quindi no, non credo di essere troppo lontano dalla realtà.

Umberto Baldo

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