La “Banca del Nord” rischia di diventare la Banca di Lione

Umberto Baldo
I rapporti fra italiani e francesi affondano in una storia secolare di invasioni, rivalità, e conquiste mancate.
Prima furono gli Angioini a mettere il loro sigillo sul Mezzogiorno, lasciandoci un’eredità più agrodolce che dolce. Poi toccò a Carlo VIII, accolto a Firenze da Pier Capponi, che lo liquidò con un memorabile: «Voi sonerete le vostre trombe, noi soneremo le nostre campane».
Una fiammata di orgoglio italiano che però non impedì ai francesi di tornare e ritornare nella Penisola.
Il capitolo finale ha il volto di Napoleone: da Ajaccio al sogno imperiale, passando per un’Italia ridisegnata come fosse una tavola da Risiko. Regni e repubbliche, codici e leggi: tutto sotto l’aquila francese, almeno fino alla resa dei conti.
Sono passati i secoli, ma lo schema è sempre quello.
Cambiano i mezzi, non i protagonisti.
Oggi le baionette hanno lasciato il posto ai pacchetti azionari, e le uniformi blu ai completi gessati.
È il risiko bancario, con Parigi che guarda a sud, e Roma che continua a ripetere “Non passa lo straniero!”.
Solo che lo straniero, di questi tempi, passa attraverso i consigli di amministrazione
Il Governo italiano, da parte sua, in tema di risiko gioca a fare l’arbitro e il giocatore insieme: da un lato blocca la scalata di UniCredit su Banco BPM, dall’altro spinge l’Ops di Mps su Mediobanca, con Generali come ciliegina sulla torta.
In questo contesto, rimbalzano ancora le parole di Matteo Salvini: «Unicredit ormai di italiano ha poco e niente. A me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps non vengano messe in difficoltà. Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri».
Dichiarazioni da incorniciare: perché, nella visione del Capitano, Bpm era la “Banca del Nord”, radicata nella Padania bossiana. La Banca attorno a cui costruire il “terzo polo italiano”.
Peccato che, mentre UniCredit adesso si sta riconcentrando sulla Germania e su Commerzbank, ed MPS ha bisogno di tempo per “digerire” Mediobanca, Banco Bpm rischia di restare sola, in balia degli appetiti altrui. Una posizione che ovviamente non fa dormire sonni tranquilli all’AD Castagna, che sa bene quanto sia pericoloso restare scoperti davanti a possibili scalate ostili.
Non a caso, ha messo sul tavolo un’ipotesi: una fusione con la filiale italiana di Crédit Agricole, definendola «l’opportunità più chiara».
I francesi, dal canto loro, hanno fiutato l’occasione. Hanno capito che, nel risiko italiano, il capitale politico pesa tanto quanto quello finanziario.
E starebbero quindi studiando la formula per arrivare al controllo di fatto di Bpm senza passare da un’Opa, magari lasciando lo stesso Castagna al timone per non spaventare nessuno.
Reuters ha riportato che Crédit Agricole avrebbe già contattato gli advisor Deutsche Bank e Rothschild, per esplorare l’ipotesi di una fusione della propria divisione italiana con Bpm, che porterebbe Parigi a detenere il 30-40% della nuova entità.
Per converso, è difficile dire cosa ci sia veramente dietro quell’ ”opportunità più chiara” ipotizzata da Castagna, che da banchiere di lungo corso sa bene che non può non tenere conto dei francesi, che nel bene e nel male sono il primo socio di Bpm.
D’altro canto, nella terra di Machiavelli, non mi sentirei di escluderne un uso strumentale, perché è palese che più l’opzione parigina appare concreta, maggiore potrebbe essere la necessità di Mps e Mediobanca di muoversi per trattenere Banco Bpm nel perimetro italiano, con un’offerta più ricca in termini di governance e valutazioni.
Vedremo a breve se quella di Castagna è strategia o tattica, ma resta a mio avviso il fatto che, qualunque sia la formula per un’integrazione, non è fuori luogo immaginare un futuro francese per Bpm.
E qui casca l’asino.
Perché quando a provarci è stato UniCredit, il Governo ha sfoderato il Golden power, fermando l’operazione in nome della “difesa dell’italianità”.
Ma ora, con i francesi pronti a calare da Oltralpe, che succede?
Tutti zitti?
Salvini dovrebbe essere il primo a rispondere: come mai la “Banca del Nord” rischia di diventare la “Banca di Lione” senza che nessuno batta ciglio?
Forse che in Italia ci sono francesi cattivi e francesi buoni?
Cattivi quelli di Natixis, che vorrebbero mettere le mani sul risparmio delle Generali?
Buoni quelli di Crédit Agricole, magari perché hanno l’ufficio stampa più simpatico?
O magari a Palazzo Chigi si teme che una eventuale ulteriore forzatura con la Golden power, dopo quella su Unicredit, possa far smuovere alla Ue e alla Bce qualcosa di più di più di una alzata di sopracciglio?
Ad ogni buon conto il paradosso è servito: si è bloccato un gruppo italiano come UniCredit (che sarà anche globalizzato, ma resta italianissimo), con il risultato di aprire la porta a un gruppo francese, che ovviamente italiano non è per niente.
Sotto il cielo italico tutto è possibile. E sotto quello padano pure.
Oggi non ci sono né trombe né campane a rispondere ai francesi: ci sono solo dichiarazioni, Golden power a intermittenza, e tanto silenzio opportunista.
Chissà cosa pensa oggi il Capitano, che per anni ha coccolato Banco Bpm come la “vera banca del Nord”.
Forse si consola immaginando che, se finirà in mani francesi, la Padania diventerà finalmente autonoma… ma da Roma, con capitale Lione.
Toccherà magari cambiare il vecchio slogan bossiano: ieri “Roma ladrona”, oggi “Parigi padrona”.
Alla fine, non scandalizziamoci troppo: siamo un Paese che da secoli si lascia conquistare, salvo poi raccontarsi la favola della resistenza.
La verità è che l’Italia non ha mai perso una guerra: ha sempre trovato il modo di cambiare alleato.
Così forse potrebbe andare anche stavolta: magari non vinceremo il risiko bancario, ma ci convinceremo che, in fondo, l’avevamo pianificato noi.
Umberto Baldo













