Carnevale fiscale da 408 miliardi: e gli evasori brindano col prosecco

Umberto Baldo
Ricordate Equitalia? Quel nome che faceva tremare i polsi; lo “strozzino di Stato” per Salvini, il “boia fiscale” per Grillo.
Bastava evocarla e già comparivano le immagini di cartelle per poche centinaia di euro, di pignoramenti grotteschi, di case messe all’asta per debiti ridicoli.
Non era il Male Assoluto: faceva il lavoro per cui era nata (era partecipata al 51% dall’ Agenzia delle Entrate ed al 49% dall’ Inps), ma secondo i detrattori era una macchina cieca, che applicava la legge senza un briciolo di umanità.
Già perché per certi politici chiedere le tasse non pagate sarebbe “disumano”.
Peccato che non sia invece disumano spremere fino all’ultimo centesimo i lavoratori dipendenti con il meccanismo della ritenuta alla fonte, o non riconoscere la rivalutazione all’inflazione per le pensioni sopra i 2500 euro lordi.
Sapete che è un mio pallino, ma evidentemente la giustizia fiscale per Meloni e Salvini è applicare la Flax tax a partite Iva ed Autonomi, nel mentre per i pensionati con trattamenti sopra i 2.500 euro lordi (meno di 2mila euro il netto) la perdita legata alla rivalutazione ridotta è quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13mila euro, valore destinato a salire progressivamente più aumenta l’assegno pensionistico. Questa penalizzazione relativa all’adeguamento inflattivo riguarda oltre 3,5 milioni di pensionati, una platea pari a poco più di un quinto del totale, gli stessi che però pagano il 62% dell’Irpef totale sulle pensioni, dopo aver versato consistenti contributi nella loro vita attiva.
Tornando ad Equitalia, che in breve assunse lo stesso sapore di un “Vade retro Satana”, forse perché fece andare nei propri uffici persone per cui le tasse erano un optional, nel 2017 arrivò la “grande rivoluzione”.
Via Equitalia, dentro l’ Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Una svolta epocale?
Ma nemmeno per sogno. Solo un cambio di insegna, un lifting da quattro soldi.
Le cartelle restarono cartelle, i pignoramenti restarono pignoramenti.
L’unica novità fu il comunicato stampa: “nuovo rapporto con i contribuenti”, “attenzione sociale”, soprattutto “FISCO AMICO”.
Una colata di zucchero filato sopra la stessa minestra indigesta.
E così Equitalia è morta solo perché in Italia siamo maestri nel dare una mano di vernice ai problemi, per poi scoprire che, sotto la pittura, il muro continua a sbriciolarsi.
E così è stato, e non poteva essere diversamente, perché evasori ed elusori prosperano dove lo Stato si comporta come le tre scimmiette, e dove manca la condizione imprescindibile per una seria lotta all’evasione fiscale: la VOLONTA’ POLITICA.
Ovviamente i Partiti giurano e spergiurano da sempre (soprattutto quando decidono un condono) che per il futuro saranno inflessibili contro chi si sottrae agli obblighi fiscali, ma non credeteci; è tutta scena, finalizzata a non fare incazzare di più i contribuenti onesti.
Ragazzi, il punto non era Equitalia, e non è oggi l’Agenzia delle Entrate: il problema, lo ripeto perché vi deve essere chiaro, è sempre lo stesso, e si chiama volontà politica.
Volontà che in Italia non c’è mai stata, perché fare sul serio la lotta all’evasione significa pestare i piedi a troppa gente.
E allora, che si fa? Si inventa la solita sceneggiata.
Che questa volta ha un tono, come dire, un po’ Savonaroliano; un bel falò.
E così l’ultima trovata la firma la Commissione Tecnica sulla Riscossione, con una relazione scritta, partorita dopo un confronto tecnico con la Ragioneria Generale dello Stato ed il Dipartimento Finanze, ed inviata alla Conferenza Unificata per ricevere il parere di Regioni ed Enti locali, atteso la prossima settimana: in estrema sintesi un maxi-discarico da 408 miliardi.
Sì, avete letto bene: 408 miliardi, pari al 32% del magazzino fiscale residuo (1.300 miliardi).
E mentre ogni anno Governi e Partiti litigano per una legge di bilancio da 30 miliardi o giù di lì, lo Stato decide di gettare nel cestino più di dieci volte tanto.
I dettagli sembrano scritti da Totò e Peppino.
Stiamo parlando di 35 miliardi di crediti 2000-2024 non più incassabili perché i contribuenti sono morti; di 166 miliardi dovuti da società cancellate dal registro imprese e prive di coobbligati, di 65,22 miliardi relativi a soggetti falliti, e di 70 miliardi di altri crediti prescritti.
A questi si dovrebbero aggiungere 70,44 miliardi di crediti, concentrati fra 2000 e 2010, che risultano giuridicamente “vivi”, ma con scarse o nulle possibilità di riscossione.
Verrebbero così “liberati” 9,2 milioni di contribuenti, che si vedrebbero annullare 27,6 milioni di cartelle in cui sono iscritti 42,9 milioni di crediti, spesso per somme non banali.
Riassunto: 347 miliardi li perderebbe l’Erario, 38 l’Inps, 5 i Comuni, 3 gli altri enti.
Altro che pace fiscale: qui siamo al carnevale fiscale.
Si può andare avanti così? Qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso direbbe di no.
Ed infatti la Commissione, nel mentre recita il “De profundis…” per oltre 400 miliardi di tasse che mai verranno riscosse, prova anche a proporre soluzioni: più personale specializzato, uso serio delle banche dati, fatturazione elettronica sfruttata sul serio, notifiche più rapide, esecuzioni semplificate, stretta sui “furbetti delle rateazioni”.
Tutte cose giuste, tutte cose già sentite mille volte.
E mille volte finite nel cestino della politica, dove le proposte di buon senso muoiono soffocate dall’interesse elettorale.
Pensare che stavolta andrà diversamente è un atto di fede, roba da mistici.
Se ci credete, meritate il Nobel dell’ottimismo.
Perché attuare davvero quelle ricette significa coraggio, significa impopolarità, significa scelte dure: esattamente quello che la politica italiana non sa, non vuole e non può fare.
E allora eccoci di nuovo alla solita tiritera.
Salvini continua a invocare la “pace fiscale” come una formula magica capace di risolvere tutto.
Ma intanto, tra un condono ed un maxi-discarico, lo Stato si arrende.
Gli evasori hanno già apparecchiato: vino in fresco, tavola imbandita.
E mentre noi parliamo di numeri, loro intonano soddisfatti un solenne “Te Deum laudamus”.
In fondo non è nemmeno una novità: a Roma, duemila anni fa, i debiti dei patrizi venivano regolarmente condonati, mentre i plebei finivano strozzati dagli usurai.
Oggi la sceneggiata si ripete: cambiano i nomi, cambiano i loghi, ma il copione resta identico.
Solo che almeno gli imperatori romani, tra un condono e l’altro, si preoccupavano di offrire pane e giochi al popolo.
Invece qui da noi, nella Repubblica di Cialtronia, rischiamo di restare senza l’uno e senza gli altri.
Umberto Baldo
PS: tanto per dire, sono da lungo tempo un assiduo frequentatore della Stampa estera, e mai mi sono imbattuto in un termine anche solo assimilabile e “rottamazione fiscale”. Vorrà pur dire qualcosa? O no?













