10 Settembre 2025 - 9.42

Francia. Il canto del cigno di Bayrou: “Non potete cancellare la realtà”

Umberto Baldo

Quand’è che un uomo politico trova il coraggio di dire apertamente al popolo quelle verità che normalmente si edulcorano, si annacquano, o si tengono nascoste per paura di perdere consensi?
Accade quando non ha più nulla da perdere. 

È in quel momento che la dignità prevale sull’opportunismo, e la verità diventa un valore in sé.

E’ ciò è successo lunedì 8 settembre, quando François Bayrou – premier francese, veterano della politica con mezzo secolo di militanza – ha pronunciato davanti al Parlamento il discorso che probabilmente passerà alla storia come il suo “canto del cigno”.
Destinato ad abbandonare la scena, forse per sempre, Bayrou ha lasciato un testamento politico condensato in una frase che vale più di mille editoriali: «Signore e Signori del Parlamento, avete il potere di rovesciare il Governo, ma non avete il potere di cancellare la realtà».

Bayrou,  a capo del primo Governo della Quinta Repubblica caduto su un voto di fiducia, non sarà ricordato tra i grandi statisti francesi.

Troppo tardi, troppo debole, troppo logorato.
Eppure, questa frase – che oggi fa sorridere gli avversari – un giorno potrebbe invece far riflettere gli storici: perché non è comune che un politico denunci apertamente l’inganno collettivo su cui si reggono le democrazie moderne.

In Parlamento, Bayrou ha affondato il colpo: «Spendere è diventato un riflesso e, peggio ancora, una dipendenza. Le spese ordinarie dello Stato, quelle per la vita quotidiana, per i servizi pubblici, per le pensioni, abbiamo imparato a finanziarle a credito».

Già a fine agosto aveva detto che la Francia è «una nave con un buco nella chiglia che imbarca acqua da mezzo secolo».
E ricordava che l’ultimo bilancio in pareggio risale al 1974: l’era dei pantaloni a zampa d’elefante e dei telefoni a disco. Per capirci: i francesi nati dopo quella data non hanno mai conosciuto uno Stato capace di spendere solo ciò che incassa.

Guardate, non mi soffermerò troppo sulle cause apparenti della crisi, sul Parlamento ormai ingovernabile, sulla frattura che divide il Paese fra sostenitori di un trozkista come Mélenchon e la sua France Insoumise, e quelli di Marine Le Pen ed il suo Rassemblement National.

Ora, che il Parlamento francese sia diventato quasi una bolgia infernale lo sanno tutti; che il Paese sia spaccato lo leggiamo ovunque; che la rabbia sociale possa tornare ai livelli dei gilet jaune lo temono persino i Prefetti.

Io mi concentro su quella che a mio avviso è la “causa delle cause” della crisi francese, che a ben guardare non è solo francese bensì mondiale: il debito pubblico.

Quante volte vi ho ripetuto che a mio avviso arriverà un momento in cui l’Europa morirà di deficit, di troppo welfare?

Chi mi legge lo sa che è una delle mie convinzioni più radicate.

Ma come nella favola di Esopo nessuno crede a chi grida “al lupo”,  alla fine il lupo arriva e fa un banchetto da re; così accade nell’Europa delle cicale e delle formiche, dei Paesi virtuosi e dei Paesi spreconi. 

Quali siano le conseguenze di un eccesso di debito lo hanno provato sulla propria pelle gli irlandesi, i portoghesi, gli spagnoli, anche noi italiani, ma soprattutto i greci, che si sono sorbiti la “cura” della Troika.

Ma queste Nazioni hanno dimostrato di aver capito la lezione, e sia pure senza fare miracoli, hanno saputo rimettersi in rotta.

La Francia no.

I francesi si sa sono pronti a scioperare, a manifestare, a bloccare tutto.

Ma nessuno sembra disposto a mettere in discussione lo “Stato Provvidenza”, la vacca sacra che ha triplicato il debito pubblico in vent’anni, da 1.000 a 3.415 miliardi.
E poco importa se oltre la metà – 1.750 miliardi – è in mano a creditori stranieri che pretendono sempre di più per finanziarlo. 
E per chi non se lo ricordasse, o per i paladini del sovranismo, giova ribadire che “la sottomissione al debito è come la sottomissione alla forza militare: sottomessi dalle armi o dai creditori, in entrambi i casi perdiamo la nostra libertà.  

Soprattutto se il nostro welfare ce lo siamo fatto finanziare dagli altri, come nel caso della Francia (i citati 1750 miliardi in mano a non francesi).

Resta il problema dei problemi, che vale oggi in Francia, come negli Stati Uniti, in Inghilterra ed un po’ in tutto l’Occidente; perché la tentazione di vivere al di sopra delle proprie possibilità, di rimandare il conto a chi verrà dopo, non è una malattia solo francese; è la patologia diffusa in tutte le democrazie che hanno paura del presente e si rifugiano nelle illusioni del futuro.

Detta in altre parole “spendere è diventato un riflesso e, peggio ancora, una dipendenza”. Le spese ordinarie del Paese, le spese per la nostra vita quotidiana, per i servizi pubblici, per le pensioni, ci siamo abituati a finanziarle a credito.

E come per ogni dipendenza, se non la curi, ti distrugge.

Ecco perché a mio avviso il discorso di Bayrou, pur inutile ai fini della governabilità immediata della Francia, resta come un faro: perché l’ex Premier ha chiamato le cose con il loro nome: “un Paese che da cinquantun anni non presenta un bilancio in pareggio, un debito che supera i 3.400 miliardi, una generazione condannata a pagare i conti accumulati dai padri per spese correnti e non per investimenti, una politica troppo a lungo incapace di guardare oltre la prossima scadenza elettorale”; ebbene un Paese così non ha futuro.

Forse è la prima volta che i nostri cugini d’oltralpe hanno ascoltato un simile discorso, per certi versi “brutale”, da un Capo del Governo.

A noi italiani, pur senza andarne orgogliosi, è capitato di sentirlo almeno un paio di volte.

Una prima volta da Mario Monti, ed un’altra da Mario Draghi.

E lo dobbiamo al Governo Monti, ed alla tanto vituperata “riforma Fornero”, se siamo riusciti a sminare la bomba delle pensioni.

Bomba che invece continua ad incombere da anni e anni sulla politica francese, nonostante gli svariati tentativi di alzare l’età pensionabile dagli attuali 62 a 64 anni (sic!); sempre rifiutata a furor di popolo.

E badate bene che sebbene Bayrou, pressato dalla contingenza, abbia proposto tagli per 44 miliardi, e addirittura l’abolizione di due festività, il vero snodo resta sempre quello della riforma delle pensioni, il cui disequilibrio è una delle cause principali dello scasso dei conti francesi.

Va comunque ricordato che la Francia, pur con i suoi problemi, non è un Paese del terzo mondo, e se solo lo si voglia, o lo si possa fare, può sicuramente uscire dal pantano.

Ma è il clima sociale che spaventa.

E per capire il grado di rabbia e disincanto, fino alla derisione nei confronti dei politici, specie quelli in giro da cinquant’anni come François Bayrou, bisogna segnalare che lunedì, intorno alle 20.30, mentre il premier a Matignon salutava i ministri con uno champagne di addio per ringraziarli dei «nove mesi di profonda felicità passati assieme», a Parigi ma anche a Marsiglia, Digione, Nimes, ovunque in Francia, migliaia di persone si sono ritrovate in strada per brindare a loro volta, sia pure senza champagne, alla caduta di Bayrou, profondamente felici di non doverlo più vedere.   Siamo cioè alle feste per strada, e non è certo un bel segnale.

C’è il timore che le birre e i festeggiamenti di lunedì sera siano stati una specie di allenamento in vista della giornata dei “Bloquons tout” (i «blocchiamo tutto», forse la versione rinnovata dei gilet jaune) che promettono per oggi di fermare la Francia con scioperi, manifestazioni e atti di protesta vari; dal non usare più bancomat e carte di credito per boicottare il sistema bancario a — temono i Servizi e il Ministero dell’interno — gesti forse di maggiore impatto simbolico e soprattutto maggiore violenza, in vista dello sciopero generale già indetto dai sindacati per il 18 ottobre.

E allora torniamo fatalmente a quella frase: «Avete il potere di rovesciare il Governo, ma non avete il potere di cancellare la realtà».

Ricordate sempre che quella realtà non riguarda solo la Francia.
Vale anche per noi italiani, che oggi ci illudiamo di avere i conti sotto controllo, ma domani potremmo ricadere nella stessa trappola se lasciamo che la politica si trasformi in un concorso di promesse impossibili, come il ritorno del Reddito di cittadinanza.

Perché la verità è semplice e spietata: vivere a credito non è un diritto acquisito. 

È solo un inganno collettivo.
E come tutti gli inganni, prima o poi presenta il conto.

Umberto Baldo

PS: che la situazione sia seria lo dimostra la scelta, (o la fretta?) di Macron di conferire l’incarico di Premier già ieri, lo stesso giorno delle dimissioni formali di Bayrou. Per la cronaca il nuovo Primo Ministro francese è Sebastien Lecornu, un fedelissimo del Presidente. 

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