L’iniziativa: Gaza Cola e niente prodotti israeliani. Perché non c’è la ‘birra Kiev’?

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Geopoliticus
Nel cuore pulsante della resistenza democratica, dove i Supermercati profumano di valori e i volantini promozionali, oltre che promuovere il business, combattono le ingiustizie del mondo, è arrivata la svolta.
Il reparto bevande della Coop non è più un semplice angolo refrigerato: è diventato un presidio ideologico.
Dimenticatevi la vecchia e compromessa Coca-Cola, simbolo ormai decrepito dell’imperialismo a stelle e strisce, e fate spazio alla Gaza Cola, la bibita rivoluzionaria che disseta e redime.
La Coop Alleanza 3.0 (350 supermercati in otto regioni italiane), nel suo inesausto sforzo di sanificare gli scaffali da ogni traccia di sionismo alimentare, ha finalmente rotto gli indugi.
Dopo aver bandito tutto ciò che odorava anche solo vagamente di “Made in Israel”, come, che ne so, i cetriolini Kosher, i datteri del Negev, si passa alla fase due: la sostituzione militante.
L’era del supermercato come luogo di consumo è finita.
Benvenuti nel Supermercato come Manifesto, dove ogni corsia è un comizio ed ogni etichetta un editoriale di “Internazionale”.
Via il succo di arancia spremuto a Tel Aviv, dentro la Gaza-Cola con il timbro “100% palestinese”, cioè prodotta in Polonia da una compagnia inglese.
Ma vuoi mettere la narrazione di una bevanda idealmente imbottigliata tra le rovine della resistenza? Un miracolo di logistica emozionale.
Naturalmente non si tratta, giammai, di un’operazione commerciale, Né ovviamente c’è qualsiasi inaccettabile interesse mercantil-capitalistico a sorreggere l’iniziativa. No
È un atto d’amore, una carezza ai popoli oppressi, una lattina solidale da centoventi calorie per bottiglia.
Non è solo una bibita, è un atto politico da 33 cl.
Ogni sorso è un pugno nello stomaco al sionismo imperialista. Ogni bollicina urla: “libertà per i supermercati oppressi!”.
I ricavati, giurano gli esperti della Grande Distribuzione Etica, serviranno a ricostruire un ospedale a Gaza.
Quale, non è dato sapere. Forse quello da cui uscivano i video dei festeggiamenti dopo il 7 ottobre? Forse quello dove Hamas teneva gli ostaggi, tra una flebo e un caricabatterie?
Forse ce lo potranno dire gli inglesi che la producono “made in Poland” e incassano!
Ma che importa? Le nuance sono roba da borghesi reazionari.
L’importante è ripulire il supermercato. Bonificare il banco frigo, denazificare lo scaffale dei legumi.
Un bel “judenfrei” enogastronomico, che fa tanto Anni Trenta ma con font Helvetica e social manager inclusivo
In fondo, cosa può esserci di più progressista che censurare i prodotti di uno Stato democratico per sostituirli con una bibita dal brand che riecheggia uno slogan genocidario? (From the river to the sea, ovvero: via tutti gli ebrei dal fiume al mare). Ma detto con le bollicine, suona meglio.
E allora beviamola questa Gaza Cola. Brindiamo alla purezza ritrovata, all’ipocrisia che diventa merchandising (io guardo sempre con sospetto le mescolanza fra soldi e morale, fra Dio e Mammona).
Con la speranza che nella prossima campagna Coop, tra le uova bio e i biscotti equi, non ci siano solo promozioni, ma anche un bel corso accelerato di storia del Medio Oriente. Offerto con i punti della tessera socio.
Geopoliticus
PS: chissà se i dirigenti dell’ Alleanza Coop. 3.0 hanno messo in conto che c’è una fetta della popolazione italiana che magari non apprezza una simile iniziativa, gente che non ricorda favorevolmente il marchio “judenfrei”, e che magari si guarderà bene nel futuro dal frequentare i punti vendita “cooperativi” desionistizzati?
PS2: voglio sperare di vedere a breve negli scaffali delle Coop una birra “Kiev” con i colori giallo blu bene in vista. Diversamente dovrei concludere che uccidere donne e bambini (barbarie pura non c’è alcun dubbio) in Medio Oriente è genocidio, mentre nelle pianure ucraine è guerra giusta.













