Il paradosso Italia: il paese che lavora tanto, guadagna poco e non cresce più

Si dice che Donald Trump abbia vinto le presidenziali chiedendo agli americani: ma voi state meglio o peggio di cinque anni fa?
In un Paese normale, scevro da ideologie e schieramenti preconcetti, nel 2027 gli italiani prima di crocettare la scheda elettorale dovrebbero porsi la stessa domanda. O no?
Il Rapporto Istat annuale presentato ieri, è tutto da leggere ed è certamente una lettura molto interessante, perché evidenzia impietosamente alcune dinamiche del mercato del lavoro e demografiche che dovrebbero far riflettere i nostri Demostene.
Dal 2000 a oggi abbiamo fatto un piccolo miracolo al contrario: più occupati, meno produttività.
È come dire che ci siamo messi tutti a pedalare più forte… ma la bicicletta va più piano.
E infatti, mentre il numero degli occupati cresceva del 16% – in linea con Francia e Germania – la ricchezza prodotta per ogni lavoratore in Italia è scesa del 5,8%.
E il PIL per ora lavorata è aumentato di un ridicolo 0,7% in 24 anni.
Facciamola semplice: lavoriamo tanto, ma produciamo poco. E quindi guadagniamo ancora meno.
Ma dov’è finito lo slancio produttivo di questo Paese? Che fine ha fatto l’Italia dell’ingegno, della manifattura di qualità, della creatività trasformata in impresa?
Semplice: abbiamo svenduto l’idea di sviluppo a una logica da economia del turismo, della ristorazione, del “lavoretto”.
Abbiamo trasformato i giovani in camerieri sottopagati, i cinquantenni in rider con la partita IVA, e i laureati in esodati del sapere che fuggono all’estero perché qui non trovano nulla più alto del bancone di un bar o del banco di un call center.
Nel frattempo, la politica si vantava dell’“occupazione in crescita” come se bastasse il numero di contratti per parlare di progresso. Ma se il lavoro che si crea è precario, mal pagato, improduttivo, non è sviluppo: è declino truccato da successo statistico.
E la verità è che nessun governo – di destra, di sinistra, o di centro – ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno: che serve una rivoluzione industriale vera, una che premi il merito, l’innovazione, il rischio d’impresa intelligente. Non i furbetti dei fondi pubblici, non i consulenti dei bandi PNRR, non le cooperative di comodo che gestiscono l’assistenza come fosse una miniera di manodopera a basso costo.
La colpa? È di tutti. Di una classe dirigente che si è accontentata. Di sindacati che hanno difeso l’esistente più che il futuro. Di imprenditori che hanno preferito risparmiare sul personale piuttosto che investirci. E anche nostra, di cittadini, che abbiamo smesso di pretendere qualità in cambio delle tasse che paghiamo (ma mezza Italia vive sulle spalle dell’altra)
Ora la domanda è: vogliamo davvero continuare così? O vogliamo tornare ad essere un Paese che punta in alto, dove lavorare non è solo faticare, ma creare valore, crescere, vivere meglio?
Svegliamoci. Perché continuare a riempire l’Italia di posti di lavoro che non portano da nessuna parte, vuol dire condannare le nuove generazioni a restare ferme. Come noi.
Umberto Baldo
Ps: lo schemino spiega tutto
| Indicatore 2000-2024 | Italia | Francia | Germania | Spagna |
| Crescita occupati | +16% | +16% | +15% | +20% |
| PIL per occupato | -5,8% | +11% | +12% | +11% |
| PIL per ora lavorata | +0,7% | +12% | +13% | +12% |
Questo significa che l’Italia è l’unico grande paese europeo in cui il lavoro è aumentato ma ha prodotto meno valore, una dinamica che non può reggere nel medio periodo.













