19 Marzo 2020 - 9.39

Coronavirus – Giovanni dalla Svizzera, che procede ‘a cantoni’

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di Umberto Baldo

Quando pensiamo alla precisione, all’efficienza,  solitamente ci viene in mente la Svizzera.

Emblematico al riguardo il detto: “preciso come un orologio svizzero”.  Ma di fronte al coronavirus come sta reagendo la Conferazione Elvetica?  L’epidemia è ovviamente arrivata anche là, in primis in Canton Ticino, che da sempre è un po’ la “periferia di Milano”, dato anche il grande numero di italiani che ogni giorno passano il confine per lavorare in Svizzera, i cosiddetti “transfrontalieri”.  Anche in Svizzera, che ricordiamo è uno stato federale, con ampie autonomie dei singoli Cantoni, sono state  adesso adottate misure di contenimento, sia pure con una settimana di ritardo rispetto all’Italia.

Ma leggendo la stampa elvetica, soprattutto quella ticinese, sembra di percepire che ci sia stato qualche “disallineamento” fra il Governo di Berna e qualche Cantone, in particolare proprio con il Canton Ticino,  relativamente alla situazione del quale Daniel Koch, capo della Divisione malattie trasmissibili dell’UFSP, ha dichiarato «Il Ticino non è ancora subissato come l’Italia.

Siamo in costante contatto con il Cantone. Sappiamo però che se continua così, i reparti di cure intensive saranno pieni».  E questo punto di saturazione sarebbe lunedì prossimo. Dopo aver sentito come vanno le cose da due ragazzi padovani, residenti uno in Spagna ed uno in Inghilterra, abbiamo posto le stesse domande a Giovanni, un giovane veneto che lavora e vive in un cantone svizzero con moglie ed un figlio.   

Queste le sue impressioni: 

Qual è la situazione attuale  nel Cantone in cui risiede, ed in Svizzera in generale, relativamente all’emergenza Coronavirus? 

Nel Cantone dove risiedo il numero dei contagiati non cresce più “ufficialmente” dal 15 Marzo. La ragione non è perché la curva di contagi si sia realmente fermata, bensì perché, a livello nazionale, la sistematicità dei test si è fermata. Solo determinate “categorie” della popolazione vengono testate e, nonostante una buona parte della comunità scientifica critichi questa decisione, il Ministero della salute rimane fermo su questa strategia. Ne consegue che le cifre ufficiali sono inaffidabili, e che sul piano internazionale i dati svizzeri non possano essere utilizzati a fini statistici. Dal punto di vista dell’approccio che la popolazione ha con l’epidemia, la situazione non è dissimile da quella italiana, e l’attenzione dei cittadini cresce di pari passo con l’espandersi del contagio.

Ad oggi il governo impone la chiusura dei negozi ad esclusione dei servizi di pubblica utilità come farmacie, alimentari, meccanici, ecc.; in linea con quanto deciso dagli altri Stati.

Cosa è cambiato nella sua vita in questi  ultimi giorni? 

Da ormai qualche settimana lavoro unicamente da casa. Il mio datore di lavoro mi ha messo nelle migliori condizioni per poter lavorare da remoto con tutti i mezzi di cui necessito. Detto questo, ovviamente la vita professionale a casa non è semplice. I bambini sono a casa da scuola almeno fino al 30 aprile; ai genitori viene chiesto lo sforzo di completare la loro formazione con compiti e attività didattiche. Per chi non ha una casa con più stanze, ci si ritrova a “lavorare” tutti attorno ad un tavolo.  In questo momento il Governo non ha ancora imposto il confinamento a domicilio, ma è chiaro che arriverà a breve.

Secondo lei c’è stata in Svizzera una sottovalutazione del rischio epidemia? 

Sì, ma non tanto in valore assoluto. Anche l’Italia ha dovuto pagare il fatto che molti cittadini sottostimassero il rischio e le conseguenze delle loro azioni. Il problema in Svizzera è  che non si è fatto tesoro dell’esperienza di ciò che stava già succedendo a pochi chilometri a sud, in Italia. Le misure prese in Italia, se attuate dalla Svizzera per tempo, avrebbero potuto diminuire il contagio in modo notevole.

Da italiano che vive all’estero, che impressione ha delle misure drastiche fin qui adottate in Italia? Sono ineccepibili, Il governo in una prima fase ha avuto dei tentennamenti, ed il percorso iniziale ha evidenziato qualche indecisione e contraddizione, ma quando è stato necessario prendere decisioni drastiche l’ha fatto con chiarezza, privilegiando ad ogni momento la salute pubblica all’economia. Il governo italiano sta altresì mettendo in atto misure ancora più drastiche di controllo affinché le risoluzioni di confinamento vengano rispettate. Inoltre, da un punto di vista dell’etica internazionale e dell’avanzamento scientifico, l’Italia, come la Cina prima di lei, ha fornito e sta fornendo una base di dati trasparenti che aiuterà tutti i Paesi a mappare e studiare l’evoluzione di questa epidemia, e di prevedere meglio in futuro l’evoluzione di potenziali nuovi virus. 

Ritiene che, giorno dopo giorno, la Svizzera adotterà progressivamente misure analoghe a quelle italiane?

 Sì, lo spero.Secondo la sua percezione, qual è il sentimento degli svizzeri rispetto all’epidemia? Ad oggi è lo stesso degli italiani. Fino a pochi giorni prima dell’esplodere del numero di contagi in Svizzera vigeva, a parer mio, un sentimento di sicurezza dettato da una certa superiorità. In Svizzera si è pensato per settimane che ciò che stava accadendo in Italia semplicemente non potesse accadere qui. Da un lato è una forma di difesa naturale verso il pericolo, dall’altra è una dimostrazione dell’assenza di omogeneità che c’è in Europa. L’esperienza di un paese europeo è vissuta non già come un’esperienza europea, bensì come un esempio particolare di un Paese diverso per cultura e capacità. Ritiene che se le autorità lo chiedessero, gli svizzeri sarebbero disposti a chiudersi in casa rinunciando allo stile di vita ordinario?Sì, lo farebbero come lo fanno gli Italiani, gli spagnoli ed i francesi in questo momento.

E’ ormai evidente che se non vengono adottate da tutti gli Stati soluzioni drastiche, che i cittadini devono rispettare, quello attuale è un punto di non ritorno.Non so se ci avete pensato, ma questa epidemia mette inevitabilmente a  confronto l’organizzazione interna degli Stati.  E non solo fra Stati “federali” e Stati “a potere centralizzato”, ma anche fra Stati autocratici e Stati democratici.  E di fronte alla necessità di prendere decisioni forti, come quella di bloccare attività economiche e di ridurre la possibilità di movimento dei cittadini, potrebbe sembrare che gli Stati a potere centralizzato ed autoritario come la Cina  siano più “adeguati”.   I disallineamenti che abbiamo visto e vediamo in Italia fra Governo centrale e Regioni, ed in Svizzera ad esempio fra Berna e Bellinzona, sembrerebbero confermare questa tesi. Al momento ci limitiamo a prendere atto che i problemi non sono poi molti diversi fra Italia e Svizzera.   Resta comunque il fatto che, se gli “altri” non ci avessero tacciato come “i soliti italiani esagerati”, ed avessero guardato con attenzione e rispetto alla nostra esperienza ed alle nostra difficoltà, magari anche aiutandoci, sicuramente adesso avrebbero qualche problema in meno.

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