30 Luglio 2025 - 9.38

Ursula, il capro espiatorio in una classe di bambini capricciosi e impazziti

Ursula, i progressisti e l’eterogenesi dei fini

Umberto Baldo

Relativamente al mio pezzo di ieri (https://www.tviweb.it/ursula-il-tycoon-e-lindegno-pollaio-europeo/), qualcuno mi ha  rimproverato:  “Umberto, ma quello che hai scritto sull’accordo commerciale tra UE e Trump sembra la difesa d’ufficio di Ursula Von der Leyen”.

Bene, confesso, la difendo. E sapete perché? 

Perché assistere ai suoi linciaggi verbali da parte di certi Capi di Governo europei è come guardare un branco di galline inferocite che si beccano fra loro, o certi delinquenti che “sparano sulla Croce Rossa”; tragico e patetico insieme.

Da lunedì sparare su Ursula è diventato quasi uno sport continentale. 

Ma in alternativa, cosa propongono i nostri galli da cortile? 

“Mostrare i denti a Trump!”. Già. 

Peccato che, a parte i canini mediatici, nessuno di questi campioni del nulla abbia messo sul tavolo uno straccio di piano B.

Le opposizioni italiane, ovviamente, si sono presentate puntualissime come gli avvoltoi sul cadavere caldo. 

La Lega, come al solito,  è difficile da inquadrare perché fluttua tra governo e opposizione come una medusa politica: trasparente, e urticante.

Matteo Renzi, maestro di allegorie fiorentine, ci regala l’immagine del giorno: “Mandare Ursula da Trump è come spedire Cappuccetto Rosso dal lupo”.
E accusa: “Un’algida burocrate, senza visione, che ha prima affondato la manifattura con il Green Deal e ora le dà il colpo di grazia”. 

Giuseppe Conte, in versione Savonarola post-grillina:  “Un duello finito con due sconfitti, l’Europa e Giorgia Meloni. Altro che ponte con gli Usa: è una disfatta. 23 miliardi di export in meno, 100mila posti di lavoro a rischio”. E ancora: «Meloni si è occupata di copertine mentre noi proponevamo tagli all’Irpef. Il governo e la Commissione hanno agito in ossequiosa sudditanza». E poi il colpo finale: «Più spese militari, più gas americano, più bollette. E un’Europa che resta con un pugno di mosche».  

Carlo Calenda, come sempre tagliente, decreta: “Von der Leyen non ha la  statura per rappresentare l’Unione”. 

Nicola Fratoianni non delude: “Disastro sociale e ambientale”. 

E poi arriva Elly Schlein, che ripete il mantra della “resa all’imperialismo americano”, come in un vinile graffiato degli anni ’70.
Tutti in coro, tutti indignati, “Tutti insieme appassionatamente”. Proprio come nel musical del 1965, ma senza Julie Andrews, e senza note intonate.

Il punto è un altro, cari amici: dietro il pretesto dei dazi si consuma l’ennesima resa dei conti interna tra i partiti europei. 

Vi ho sempre ammonito: quando guardate ai fatti della politica cercate la luna, e non fissate il dito che vi indicano i Capi Partito. 

E se possibile  cercate di capire cosa si nasconde, quali disegni si celino, dietro le dichiarazioni bellicose e roboanti, costruite solo per conquistare un titolo sui media.

E allora su questo tema diventa utile fare un piccolo passo indietro.

Per chi non lo avesse capito, il voto di fiducia (anzi, di sopravvivenza) alla Von der Leyen dello scorso 10 luglio, al Parlamento Europeo, non è stato un voto tecnico. 

E’ stato un voto spartiacque, utile a tutti i Gruppi per saggiare la solidità della Commissione. E il responso è stato a dir poco in chiaroscuro.

È stato un termometro, e il mercurio ha tremato.

Il PPE ha tenuto, ma con qualche smorfia sotto il sorriso di facciata.

I Socialisti hanno negoziato in silenzio come vecchi democristiani: “Ci dai il Fondo Sociale? Ok, ti salviamo”.

I Verdi hanno ingoiato il rospo, pur di non accodarsi alla destra (che poi è l’unico lusso che gli è rimasto).

I Liberali? Fede cieca. Ma forse più cieca che fede.

Tutti, però, hanno scritto nel retro dei loro taccuini una postilla: fiducia a tempo determinato.

In mezzo a questo teatrino, arriva Donald Trump col suo “America First” versione 2.0, e l’accordo dei dazi “15 a 0”. 

Sì, zero per l’Europa. E il pollaio impazzisce.

E qui, e solo qui, si capisce chi ha la vista lunga, e chi invece rincorre i like su TikTok.

Sì, è vero, Ursula ha fatto concessioni. 

Ha corretto il Green Deal, e sta smussando gli angoli sull’immigrazione clandestina, nel senso di cercare di contenerla. 

Ma a chi sogna l’Europa come un campus di Legambiente rispondo così: se decarbonizzare significa licenziare milioni di operai e chiudere le fabbriche, qualcuno  dovrà pur dire ai ragazzi che non siamo a un seminario di Fridays for Future.

Qualcuno, insomma, dovrà pur fare l’adulto nella stanza.

Eppure la sinistra italiana – e parte di quella europea – continua a colpire la Commissione a colpi di slogan, cieca davanti alle possibili conseguenze:  perché così facendo il rischio è quello di consegnare a Giorgia Meloni il trono europeo su un piatto d’argento.

E lo fanno con la soddisfazione di chi ha perso, ma almeno ha insultato bene.

Guardate, chi mi conosce sa che culturalmente e politicamente sono agli antipodi della nostra Premier, ma ciò non mi impedisce di riconoscere che in questa fase forse lei è l’unica ad avere chiaro il quadro europeo, agendo di conseguenza a proprio vantaggio.

Meloni, inizialmente lontana da Bruxelles, sospettata e isolata, sta capitalizzando a suo favore  tutte le disfunzioni della Ue: la debolezza della Commissione, la frammentazione delle sinistre, la guerra intestina tra chi dovrebbe difendere l’europeismo e invece spara nel mucchio. 

Meloni non ha attaccato Ursula sull’accordo con Trump. Perché?

Non solo per affinità con The Donald, ma perché ha capito che è il momento di smettere di gracchiare come il pollaio e cominciare a contare.

Di conseguenza, da  esclusa, potrebbe diventare la potenziale regista dell’asse Ppe–Ecr. 

Da sospetta populista a garante della stabilità europea (che, intendiamoci, è tutto da vedere… ma il frame mediatico lo ha già conquistato).

Quando si dice “l’eterogenesi dei fini”; dei progressisti ovviamente.

Concludendo, Bruxelles trema, le sinistre litigano, le destre si riorganizzano. 

E mentre tutti sventolano accuse e parole, c’è chi, come Giorgia Meloni, sta tessendo la tela.

Sta trasformando l’isolamento in centralità, e il Ppe lo sa. 

L’asse con l’Ecr prende forma. 

E se Ursula cadrà, ma non lo date per scontato, non sarà Trump ad averla affossata. 

Saranno state le galline europee, starnazzanti, indignate e cieche.

Umberto Baldo

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