28 Dicembre 2025 - 11.22

Risiko Bancario 2025: se lo Stato gioca, arbitra e fischia il fallo a se stesso

Umberto Baldo

Nel risiko bancario italiano del 2025 non c’è un vincitore.
E nemmeno uno sconfitto.
C’è solo un campo devastato, qualche bandiera piantata in fretta ed una folla di arbitri che si fischiano addosso a vicenda.
Le operazioni si sono concluse, certo.
Sulla carta.
Nella realtà restano trincee aperte, mine regolatorie ed una sensazione diffusa: la partita è stata giocata, ma nessuno sa più secondo quali regole.
Il problema non è stato il consolidamento bancario.
Quello, piaccia o no, è fisiologico.
A mio avviso il problema è che nel 2025 lo Stato ha deciso di giocare la partita, arbitrarla e commentarla a fine gara, il tutto senza mai togliersi la stessa maglietta.
Con la Consob nel ruolo perfetto: presenza formale, utilità decorativa, responsabilità zero.
La prima mossa “concreta” non è arrivata con squilli di tromba, ma con il passo felpato di Banco Bpm che si è ripresa Anima.
Un’operazione pulita, industriale, quasi noiosa.
Proprio per questo decisiva.
Perché da quel momento Banco Bpm ha smesso di essere una banca “normale” ed è diventata un boccone pregiato, soprattutto per chi pensava che il risiko italiano potesse finalmente uscire dalla provincia ed entrare in Europa.
Unicredit ci ha provato (la mossa di Unicredit per acquisire Banco Bpm è cronologicamente anteriore all’ Opa di Bpm su Anima).
E non lo ha fatto in modo sgangherato.
L’idea di Orcel era semplice: dimensione, efficienza, massa critica.
Parole che a Bruxelles fanno battere il cuore, ed a Roma provocano orticaria.
Ed è qui che la partita ha cambiato natura.
Non più mercato contro mercato, ma mercato contro palazzo.
Il Golden power è piombato sull’Ops di Unicredit come una coperta bagnata.
Non una prescrizione, ma una collezione: risparmio gestito, asset esteri, geopolitica, Russia, sicurezza nazionale, e probabilmente anche le previsioni del tempo.
Il messaggio era chiarissimo: l’operazione si può fare, ma solo se diventa irriconoscibile.
La Consob, nel frattempo, ha fatto quello che le riesce meglio: sospendere.
Non decidere, non indirizzare, non chiarire. Congelare.
La versione finanziaria dello “vediamo più avanti”.
Quando Bruxelles ha iniziato a fare domande serie, l’aria si è fatta irrespirabile.
A quel punto Unicredit ha fatto l’unica cosa razionale: ritirarsi.
Non perché l’operazione fosse sbagliata, ma perché nessuna Banca può permettersi di investire miliardi in un campo minato da decreti, lettere europee ed interpretazioni creative delle regole, come quella di essere considerata “Banca straniera” pur avendo sede a Milano e pagando le tasse in Italia.
Primo assalto respinto. Applausi patriottici.
Ma il terreno, anziché stabilizzarsi, ha iniziato a franare.
Ed è lì che è arrivato il Monte dei Paschi. Appena liberata dall’abbraccio soffocante del Tesoro, Siena ha fatto quello che nessuno si aspettava: ha smesso di chiedere permesso (anche se sul fatto che l’idea sia stata partorita a Siena molti nutrono qualche dubbio).
L’Ops su Mediobanca non è stata una mossa difensiva, è stata una dichiarazione di guerra.
Altro che Banca salvata: Banca conquistatrice.
Con l’aiuto dei soliti noti – grandi soci privati, pazienti, determinati e molto presenti – Mps ha preso Piazzetta Cuccia, e con essa un pezzo di storia del capitalismo italiano.
Già, perché la conquista di Mediobanca non ha solo spostato assetti azionari.
Ha spostato simboli, equilibri, memorie.
Ha chiuso un’epoca – quella di Piazzetta Cuccia come regista silenzioso – e ne ha aperta un’altra, ancora tutta da decifrare
Il cambio di controllo è stato certificato. I manager hanno incassato. I conti hanno registrato. Le conferenze stampa hanno parlato di “nuova fase”.
Ma sotto la patina restava una domanda imbarazzante: e adesso?
Perché, ripeto, Mediobanca non è solo un pacchetto azionario.
È un ruolo, una funzione, una cultura.
E inserirla dentro Mps senza snaturare entrambe è un esercizio di equilibrismo che nessun comunicato può risolvere.
Giova ricordare che quella fra Mps e Mediobanca è stata una guerra “vera”;
ma la tentata fuga in avanti di Nagel con Banca Generali è durata quanto un fuoco d’artificio sotto la pioggia.
Bocciata dai soci, archiviata in fretta, ha solo confermato che il tempo delle manovre tattiche era finito.
La partita era stata decisa altrove.
Nel frattempo lo Stato, uscito dal capitale di Mps (non del tutto in realtà, perché gli rimane ancora un 4,86%) ha scoperto di preferire un altro ruolo: quello del regolatore creativo.
Nel 2025 abbiamo visto che il Golden power, da strumento eccezionale, è diventato un coltellino svizzero.
Utile per tutto.
Peccato che a Bruxelles non abbiano mai apprezzato gli attrezzi multiuso quando servono regole chiare.
A tal riguardo la lettera della Commissione Europea è stata tutto tranne che diplomatica, in quanto si parla di dubbi sulla legittimità del decreto, ritenendo che lo stesso potrebbe violare l’art 21 del Regolamento Ue sulle concentrazioni, ed altre disposizioni di diritto comunitario.
Un atto d’accusa elegante, ma fermo.
Traduzione: così non si può andare avanti.
Come se non bastasse, come se il quadro complessivo non fosse già alquanto confuso, sull’affaire Mps-Mediobanca è arrivata anche la Magistratura.
Perché in Italia, quando una partita diventa davvero importante, qualcuno deve sempre fermare il cronometro.
L’inchiesta milanese sull’operazione Mps-Mediobanca ha aggiunto incertezza ad incertezza, paralisi a paralisi.
Nessun giudizio anticipato, per carità.
Ma un effetto pratico chiarissimo: tutto rallenta.
Per di più anche la Consob, di fronte alle intercettazioni riportate dalla stampa, ha pensato bene di far trapelare che potrebbe rivedere quel suo giudizio assolutorio (nessun concerto o patto occulto) rilasciato il 15 settembre.
Così il 2025 si è chiuso con operazioni formalmente concluse ed un sistema sostanzialmente irrisolto.
Banco Bpm entra nel 2026 con una governance da definire e con un azionista francese che osserva, aspetta l’ok della Bce per passare dal 20 al 29% dal capitale, e pesa.
La partita della governance dirà se resterà contendibile o se verrà blindata.
Mps e Mediobanca devono invece dimostrare che una conquista finanziaria può diventare un progetto industriale sostenibile.
Già perché il futuro di Mediobanca nell’azionariato di MPS dovrebbe essere segnato da una forte integrazione strategica; con MPS che mira a diventare un grande polo finanziario italiano controllando Piazzetta Cuccia e beneficiando di sinergie nel wealth management, private banking, credito al consumo ed assicurazioni (Generali).
Ma già sembrano affiorare divisioni tra i grandi soci (come Caltagirone e Delfin) che pare vorrebbero una Mediobanca più indipendente; e quindi la sfida vera sarà gestire il passaggio di controllo e di governance, per evitare conflitti e valorizzare il Gruppo, con il Governo (Mef) che spinge per “italianità” e controllo strategico.
Nel frattempo i Sindacati bussano, le Autorità vigilano, i Giudici indagano.
Tutti presenti. Tutti decisivi.
Molto probabilmente il risiko del 2026 non sarà spettacolare come quello dell’anno che ci lascia.
Sarà una partita di logoramento. Meno annunci e più frizioni. Meno finanza e più politica.
Meno mercato e più Stato.
Con una sola certezza: quando arbitro e giocatori coincidono, la partita non finisce mai.
Ed il conto lo paga sempre qualcun altro.
Umberto Baldo

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