16 Marzo 2022 - 16.32

Lega e 5 Stelle: assieme nell’ascesa e nella caduta

“Simul stabunt vel simul cadent” (insieme staranno, oppure insieme cadranno).
C’è sempre un po’ di verità in certe espressioni tramandateci dai nostri padri latini.
E questo brocardo mi è riaffiorato alla mente quando lunedì 14 marzo scorso ho visto, nel Tg de La 7, Enrico Mentana sciorinare i dati relativi al sondaggio politico settimanale commissionato ogni settimana ad Swg.
Ormai quello del sondaggio “mentaniano” è un appuntamento che, anche se magari lo si guarda distrattamente, desta comunque un certo interesse, perchè si sa le classifiche piacciono, e anche se è noto che questi “orientamenti di voto” vanno presi con le molle, sapere chi sale e chi scende nella “borsa valori” del gradimento degli italiani, non lascia del tutto indifferenti.
Ebbene, nel sondaggio in questione, per limitarci alle prime quattro posizioni, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni veniva data al 21,9%, il Partito Democratico di Enrico Letta al 21,3%, la Lega di Matteo Salvini al 16,2%, ed infine il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte (o di Luigi Di Maio, vai a sapere) al 13%.
Non ho certo l’ambizione di essere un fine analista politico, ma per come la vedo io l’inarrestabile avanzata della Meloni è in gran parte dovuta alla sua scelta di restare all’ opposizione in tutti i Governi di questa legislatura (Conte 1 e 2 e adesso Draghi), e si sa che l’opposizione paga, soprattutto in periodi difficili come sono stati i due anni della pandemia da Covid, e adesso con la crisi bellica in Ucraina.
Certo cavalcare tutte le tigri in politica attira consenso. Si tratterà di vedere, ammesso che questi “orientamenti” si trasformino in voti veri alle prossime elezioni, se la Meloni riuscirà a costituire un Governo di centro destra, magari con lei come leader, oppure verrà congelata in un ulteriore isolamento, alla stregua di Marine Le Pen in Francia.
Perchè il Pd stia avendo un costante trend di crescita francamente non è facile capire, ma a mio avviso più che ai suoi meriti, lo si deve ai demeriti dei contendenti, nel senso che nel bene o nel male Letta è riuscito a dare l’immagine di un Partito con la testa sulle spalle, con una sia pur minima linea politica, decisamente più affidabile di quella offerta da Lega e Pentastellati.
In estrema sintesi quindi il Pd avanza più che per i suoi meriti, per i demeriti altrui.
Parlare dei 5Stelle mi dà come l’impressione di sparare sulla Croce Rossa.
Dall’inizio della legislatura ad oggi il Movimento 5 Stelle ha appoggiato un governo con la Lega, uno col Partito Democratico e i partiti di sinistra, e oggi è fra i principali sostenitori del governo di coalizione guidato da Draghi.
Ma non è solo la linea politica “ballerina”, che sembra ispirata al principio “sempre al Governo costi quel che costi”, ad aver squassato quella che sembrava una macchina da guerra. Questi continui ribaltamenti hanno comunque contribuito ad alienare un elettorato assai composito, ma soprattutto ad alimentare tensioni interne fra i gruppi parlamentari del partito, privo per Statuto di un meccanismo centrale di selezione della classe dirigente.
Basti dire che ad oggi non si sa chi sia il Capo del Movimento (nomina contesa in Tribunale) e che dal 2018 a oggi il M5S ha perso un centinaio di parlamentari, praticamente un terzo degli eletti nel 2018.
Di fronte a questa débacle, confesso che mi stupisco che ci sia ancora un 16% degli italiani disposti a votare M5S, ma questa è solo una mia opinione, forse anche maliziosa.
Resta la Lega per Salvini Presidente.
Il partito che a mio avviso sta seguendo le sorti di grillini, ed ecco spiegato il “simul stabunt…….” Iniziale.
Ma anche se l’attuale trend sembra accumunare i due Partiti, la Lega è ben altra cosa rispetto ai grillini.
Certo anche Salvini sta subendo una vistosa contrazione dei consensi, e dal trionfale 34 e rotti per cento delle Europee del 2019, adesso l’ultimo sondaggio lo dà al 16% (quasi 20 punti in meno, non so se mi spiego).
E’ questo il solo dato che alla fine accomuna Lega e 5Stelle.
Entrambi raggiungono il loro massimo storico (M5S 33% alle politiche, e Lega 34% alle Europee) quasi nello stesso momento.
Sembravano le due colonne inarrestabili che rappresentavano il populismo vincente, destinate a condizionare, e forse decidere, il futuro dell’Italia.
Adesso sono entrambe in progressiva e costante forte contrazione, ed il loro futuro appare via via più incerto.
Ma, ribadisco, Lega e M5S non sono accumunabili, sono due entità profondamente diverse, ed anche la loro crisi ha origine diverse.
Quella dei 5Stelle a mio modesto avviso è una crisi di identità, nel senso che il Movimento, nato per ribaltare la politica italiana, per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, alla prova dei fatti non ha concretizzato questa tensione rivoluzionaria, ed ha mostrato di adeguarsi, sia pure a prezzo di tensioni interne e fuoriuscite, alla “politica romana”, e quindi ha perso di fatto la sua ragione di esistere.
Diversamente la crisi della Lega, spiace dirlo, appare più come quella di un leader.
Dal Papetee in poi il Capitano è apparso sempre più incerto, sempre più annebbiato rispetto alla linea politica.
Dal sostegno più o meno palese alla galassia no vax, dal mancato “sfondamento” del Partito al Sud, dagli errori di valutazione in sede di elezione del Presidente della Repubblica, dai legami innaturali con i leader dei Paesi dei Visegrad, dalle incertezze nel posizionamento nel Parlamento europeo, per finire alla figuraccia rimediata nel recente blitz al confine polacco, sono solo alcuni elementi che gli hanno alienato le simpatie di una bella fetta dell’elettorato.
Ma dietro di lui non c’è il nulla, come è invece per i 5 Stelle.
Dietro di lui c’è ancora il Nord, governato da Aosta a Trieste da uomini della Lega.
Dietro di lui c’è ancora una forza politica strutturata, almeno al Nord, radicata nel territorio, innervata nella società settentrionale, con una persistente voglia di autonomia regionale; e probabilmente c’è ancora mondo il produttivo del Nord, che però sicuramente fa fatica a capire cosa voglia veramente Salvini.
In altre parole dietro di lui c’è ancora quel mondo che Umberto Bossi seppe coagulare in un progetto politico, e ci sono uomini, da Giorgetti a Fedriga, da Zaia a Garavaglia, in grado di incarnare una nuova fase del Partito.
Si tratta di vedere quando qualcuno farà capire a Salvini, con le buone si spera, che forse il suo momento magico è finito, che forse non è più il Re Mida della politica italiana, che la fase del populismo è tramontata, che forse è arrivato il momento di cedere il bastone del comando.
Diversamente temo che i sondaggi di Mentana continueranno a segnalare una curva della Lega sempre più rivolta verso il basso.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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