11 Febbraio 2022 - 9.51

Italiani! Tutti a scopare!

di Umberto Baldo

Siete fra i tanti che in questi giorni discettano, con sussiegosa competenza, di stone, di end, di hammer?
A coloro che in questo momento stanno sgranando gli occhi, assumendo un’espressione interrogativa, specifico che non stiamo parlando nè di musica (Rolling Stones), nè di vecchio cinema (The end), nè di auto (Hammer), bensì di curling?
Curling cheeee?
Andiamo su, non sarete mica fra quei pochi che sono riusciti a non farsi contagiare dalla storica impresa di Stefania Costantini e Amos Mosaner?
Certo che noi italiani siamo un popolo strano.
Indubbiamente l’impresa di questi due ragazzi, che alle Olimpiadi invernali di Pechino sono riusciti a battere nientepopodimeno che i norvegesi, è di quelle che rimarranno nei libri di storia dello sport.
Non siamo certo ai livelli di un ipotetico oro della nazionale giamaicana di bob a quattro, ma poco ci manca.
Già perchè a praticare il “Curling”, sul ghiaccio però e non in poltrona davanti alla tv, nel nostro Paese sono 333 tesserati (qualche altra fonte arriva al massimo a 500), di fatto una manciata di appassionati.
Per cui il solo pensare che una coppia composta da una ragazza ventiduenne di Cortina d’Ampezzo, e da un 26enne trentino di Cembra, siano riusciti a fare l’”en plein”, vincendo tutte le gare (11 vittorie su 11 partite), e mettendo in riga norvegesi, svedesi, canadesi, svizzeri, e finanche gli scozzesi, nazioni che contano milioni di praticanti, e di conseguenza tradizionalmente le più forti del mondo, è un’impresa che ha il sapore dell’epica, un traguardo che sembrava inimmaginabile.
E che sia stato un momento storico, definito dal Guardian “vittoria straordinaria” lo sapevano anche i nostri due atleti, che hanno confessato di aver passato la notte successiva alla vittoria svegli, ad ammirare la medaglia d’oro conquistata, forse per realizzare che era tutto vero, e non un sogno.
Come meravigliarsi quindi, vista la passione di noi italiani per lo sport “parlato”, se dopo questa medaglia d’oro un po’ ovunque, nei bar, negli uffici, nelle edicole, non si parlava d’altro?
D’altronde siamo il Paese dei 60milioni di commissari tecnici quando a scendere in campo è la nazionale azzurra del calcio, e quando sulla neve stravinceva Alberto Tomba sembrava che fossimo tutti grandi sciatori, adusi a scivolare sulle piste nere, o a “slalomare” fra improbabili porte.
Io credo che, al di là del voyeurismo sportivo che ci caratterizza, al di là della nostra tendenza innata a seguire le mode del momento, questo improvviso innamoramento per il curling derivi dal fatto che questa disciplina, tipica dei paesi nordici, assomiglia molto al gioco delle bocce.
Certo bocce particolari, campo di gara particolare, ma in fondo la logica appare molto simile al gioco che da bambini abbiamo praticato in spiaggia, e magari da grandi nei bocciodromi.
Forse adesso è un po’ meno diffuso, e meno praticato dalle giovani generazioni, ma io ricordo che tanti anni fa non c’era bar, trattoria, ristorante, dotato di un po’ di spazio attorno al fabbricato, che non avesse un campo di bocce.
E poiché, chi più chi meno, non c’è nessuno che in vita sua non abbia mai preso in mano e lanciato una boccia, diventa naturale immedesimarsi nel curling, e forse avere anche l’impressione che tutti saremmo in grado di spingere una stone verso l’house.
Se a questo aggiungiamo quella particolarità, che la prima volta che la vedi ti sembra una gag comica, del giocatore con una scopa in mano che si affanna a spazzare il ghiaccio davanti alla boccia, il successo è assicurato.
In realtà il curling, che secondo la tradizione sarebbe stato inventato secoli addietro nella Scozia meridionale, è un gioco un po’ più complesso, che mescola in sé le caratteristiche delle bocce, del biliardo e degli scacchi.
E che non sia una disciplina adatta a tutti lo si deve al fatto che ogni stone, col relativo manico, pesa circa 20 chili, e quindi praticare il curling richiede una certa preparazione atletica.
Oltre a tutto necessita di impianti particolari. In Italia ci sono solo cinque centri esclusivamente dedicati a questo sport: Courmayeur, Pinerolo, Cembra (TN), Cortina e Claut (PN).
Non è quindi uno sport che si possa praticare in una normale pista di pattinaggio, o su qualsiasi superficie ghiacciata, perchè una parte fondamentale della preparazione della superficie di gioco è lo spargimento di goccioline d’acqua sul ghiaccio, che formano, a causa del congelamento, una superficie grumosa. La superficie congelata assomiglia quindi a una buccia d’arancia, e la pietra si muove al di sopra delle goccioline di ghiaccio. Queste goccioline vengono chiamate pebble e influenzano la traiettoria e il curl della stone. L’ice maker deve essere anche consapevole della usura del pebble, poiché questo, consumandosi durante la partita, influisce sulle condizioni di gioco. Perciò il ghiaccio in genere deve essere raschiato, al fine di riformare il pebble, prima di ogni partita.
E se pensate che le stone si possano costruire ovunque vi sbagliate!
Tradizionalmente le pietre per il curling sono fatte di due tipi specifici di granito, chiamati “Blue Hone” e “Ailsa Craig Common Green”. Entrambi si trovano ad Ailsa Craig, una minuscola isola al largo della costa scozzese dell’ Ayrshire.
Com’era prevedibile, analogamente a quanto successo dopo le Olimpiadi di Rio de Janeiro per il beach volley, dopo la medaglia d’oro di Pechino sono iniziate le telefonate ai centri dove si pratica il curling, da parte di molte persone intenzionate di punto in bianco ad avvicinarsi a questa disciplina.
Lo davo per scontato! Come do per scontato che, passato l’improvviso innamoramento da schermo televisivo, le telefonate si diraderanno con l’arrivo dei tepori primaverili o del sole estivo, e a spingere le pietre, e a scopare il ghiaccio, resteranno i veri appassionati, come Stefania e Amos.
In attesa delle prossime olimpiadi e, speriamo, di qualche altra medaglia che ci faccia sognare.
Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA