10 Maggio 2024 - 9.41

L’art 52 della Costituzione, gli Alpini a Vicenza, e le surreali contestazioni “pacifiste”

Erasmus

“Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”.

Quante volte abbiamo sentito questo verso che chiude tutte le strofe del nostro Inno nazionale Fratelli d’Italia!

E diciamocela tutta, quando lo leggiamo sulle labbra dei nostri atleti, dei nostri calciatori della nazionale azzurra, un certo brivido lo sentiamo sulla schiena.

Il perché è abbastanza chiaro; il nostro inno nazionale è stato scritto in una certa epoca storica, in cui l’Italia stava emancipandosi da secoli di dominio straniero, e almeno le classi intellettuali più illuminate, quelle che si erano abbeverate alle idee di Mazzini e Garibaldi, sentivano forte questo richiamo alla lotta, anche a costo di mettere a rischio la propria vita. 

Possiamo chiamarla “retorica”, ma fu quella retorica che spinse i Mille, le camicie rosse di Garibaldi, ad andare alla conquista di un Regno; e non era per niente scontato che ci riuscissero.

“Chi per la patria muor/vissuto è assai, / la fronda dell’allor / non langue mai. / Piuttosto che languir / sotto i tiranni / meglio è di morir / sul fior degli anni”.

Così cantavano, secondo la tradizione, i fratelli Bandiera mentre andavano verso il luogo dove sarebbero stati fucilati.

Resta il dato incontrovertibile che nei giovani del Risorgimento c’era sicuramente una disponibilità al sacrificio financo della vita per una giusta causa, disponibilità che si riscontra anche in altri periodi della nostra storia, e mi riferisco ad esempio alla lotta di liberazione contro il nazi-fascismo. 

Ma più di recente, durante un Tg serale, mi è capitato di sentire questa dichiarazione di un  giovane ucraino: Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”.

Sfrondata la retorica del Risorgimento e della Resistenza, percepita appunto come retorica, credo che queste parole del giovane ucraino, che oserei definire “romantiche”, abbiano per le orecchie di buona parte degli italiani lo stesso suono di una lingua marziana. 

Ed il perché è presto detto.

Chi ricorda l’art 52 della nostra Costituzione?

Immagino nessuno, per cui ve lo riporto: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici”.

Lasciate perdere l’obbligo della leva, ormai superato da anni, ma il primo comma resta, e finora non ho sentito nessuno contestarlo apertamente, neppure gli “asceti della pace” che vanno per la maggiore. 

Ma è altrettanto vero che citare di questi tempi questo articolo 52 della “Costituzione più bella del mondo” (sic!) sia diventato alquanto problematico un po’ per tutte le forze politiche.

Per il semplice motivo che, nonostante gli sforzi del Governo, nonostante i Fratelli d’Italia definiscano se stessi “patrioti”, il concetto di Patria è diventato per gli italiani sempre più evanescente; e a voler essere più tranchant sembra essere uscito dal nostro universo mentale.

Sicuramente questo è stato l’effetto degli esiti del Fascismo-regime, che aveva declinato il concetto di Patria in una chiave nazionalista, aggressiva e guerrafondaia, e  a poco è quindi servito il tentativo di Carlo Azeglio Ciampi di rivitalizzare i simboli della Nazione; ma io credo che la ragione più vera, più profonda, sia quella che gli italiani (e non solo) si sono via via convinti che l’Europa abbia sostanzialmente abolito per sempre la guerra dal nostro Continente, e quindi la necessità di difendere  i confini della Patria sia diventato quasi un concetto superato.

Oltre  tutto quella che viene definita la democrazia del benessere porta alla conseguenza che nessuno sembra più riuscire ad individuare dei valori per cui sia possibile anche rischiare la propria vita per difendere l’indipendenza e l’integrità nazionale.

Non è un fenomeno solo italiano, e quanto avviene nelle Università di tutto il mondo lo testimonia, e non c’è dubbio che le due guerre in corso (ma nessuno ne ricorda altre forse più sanguinose, come quella del Sudan) hanno contribuito a dare visibilità a coloro che, non volendo ammettere che Putin ha come obiettivo quello di “ricostruire una sfera imperiale russa o ex sovietica”, e che i tagliagole di Hamas teorizzano la cancellazione dello Stato di Israele, sostengono che tutti i problemi si possano risolvere, come nelle fiabe, pronunciando la parolina magica “pace”.  

Questo spiega anche perché in occasione della 95° Adunata degli Alpini che inizia oggi a Vicenza si siano levate un certo numero di voci che criticano aspramente questa tradizione del Corpo militare forse più amato dagli italiani.

Potrei fare un elenco di questi soggetti, che vanno da un Centro Sociale ben noto in città, ad organizzazioni partitiche, a Sindacati, ad Associazioni di genitori e di docenti. 

Non lo faccio non per timore ovviamente, ma semplicemente per non dare loro alcuna forma di pubblicità gratuita.

Ma quali sono queste critiche agli Alpini?

Sono molte in realtà, a partire dalla protesta contro la cosiddetta “militarizzazione delle scuole”, che secondo questi signori si concretizza nel fatto che è stata organizzata una visita per alunni ed insegnanti alla “Cittadella Alpina” di Campo Marzio, dove sono esposti gli armamenti in dotazione alle truppe alpine.

Queste visite sono bollate come “diseducative”, perché “volte ad avvicinare, o peggio, ad interessare gli studenti al sistema della guerra”.

Ma in un documento si arriva anche a scrivere che “sarebbe ironico ospitare gli Alpini due settimane dopo il ripristino delle Clausola Antifascista da parte delle giunta comunale”.

Come se gli Alpini, invece di essere un corpo sempre in prima linea in caso di disastri o catastrofi naturali, fossero squadracce di brutali camicie nere all’assalto della popolazione “antifascista” vicentina.

Per non dire di una presa di posizione di un Centro sociale dove gli Alpini che parteciperanno all’adunata sono descritti come “maggior parte uomini e col vizio di alzare il gomito, oltre che allungare le mani”.

Con quell’allungare le mani ci si riferisce ovviamente a molestie sessuali a danno delle donne di Vicenza, che a loro dire farebbero parte del “folclore alpino”.

Ma veramente surreale ho trovato una nota dell’Anpi, firmata con alcune Associazioni “pacifiste”, che esprime «preoccupazione per i disagi e l’impatto per la città di tale evento: dal punto di vista organizzativo, dal punto di vista ecologico e sostenibile, e per la retorica militare che purtroppo non è solo prettamente storica, commemorativa e civile”.

Retorica militare? 

Ma vorrei che questi signori mi spiegassero: ma i partigiani “veri”, quelli del 1943-45, come hanno combattuto i nazi-fascisti, con gli sten ed i fucili oppure a calci e sputi, o invocando la “pace” da Hitler e Mussolini?

Colpisce e preoccupa questo dilagante “pacifismo” nel nostro Paese, che purtroppo si coniuga quasi sempre con filo-putinismo, con anti-semitismo ed anti-occidentalismo.

Non ho mai letto nessun documento di questi sedicenti “gandhiani” che stigmatizzi con forza ad esempio la riforma delle scuola attuata in Russia dallo zio Vladimir, che puntasulla nuova “educazione patriottica” a partire dai 7 anni d’età (con tanto di alzabandiera all’inizio delle lezioni, con gli studenti schierati), e ciò al fine di “rafforzare le basi spirituali e morali della società russa” (vi ricorda qualcosa del nostro passato?).

No, molto meglio, e molto più facile, prendersela con gli Alpini, accusandoli di essere militaristi e guerrafondai, semplicemente perché portano le armi, trascurando volutamente che, sotto tutti i cieli del mondo, tutti i corpi militari sono armati.

Certo l’indignarsi di fronte a queste prese di posizione ci sta, ma forse neanche più di tanto perché, alla fine, questo pacifismo peloso, di fronte alla complessità della politica internazionale, lascia il tempo che trova.

Anche perché in ogni caso non riuscirà ad intaccare la tradizione degli alpini, che non è allegoria, perché le penne nere sono uomini che  arrivano sempre dove serve una mano, che tirano su i muri dove sono crollati, che  procurano il cibo a chi non ne ha, e che dovesse servire (e nessuno lo spera sia chiaro) sarebbero pronti a difendere il Paese con le armi.

Sì, con le armi, perché con le chiacchiere e le frasi ad effetto certamente non si fermano gli eserciti dei Putin di turno.

Erasmus

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