Il modello sbagliato: se la sinistra italiana guarda a Sánchez, allora siamo messi male

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C’è una riflesso condizionato che non passa mai di moda nella sinistra italiana: quello di cercare all’estero un modello da imitare, un riferimento da sventolare nelle interviste e nei convegni come dimostrazione che “un altro mondo è possibile”.
Negli anni abbiamo visto passare nel pantheon dei modelli “buoni” Lula, Zapatero, Tsipras, Corbyn, perfino l’improbabile Varoufakis.
Ora tocca a Pedro Sánchez, il Presidente socialista spagnolo incensato da Elly Schlein e dai suoi sostenitori come baluardo democratico contro la destra.
Il capo di Governo che ha detto no a Trump e alla Nato, anche se poi inspiegabilmente il documento che prevede l’aumento delle spese militari lo ha firmato.
Ma siamo sicuri che sia un modello da copiare? O non è, piuttosto, l’ennesimo abbaglio?
Perché se guardiamo i fatti — non le narrazioni di Schlein & Co. — Sánchez si sta aggrappando al potere in modo disperato, mentre tutto intorno a lui crolla: due dei suoi più stretti collaboratori,per oltre un decennio sono indagati per far parte di un’organizzazione criminale (uno dei due, l’ex Segretario Organizzativo del Psoe, è appena finito in carcere), senza dimenticare che sono indagati anche la moglie, il fratello e il Procuratore Generale dello Stato.
In un altro Paese, con un’altra idea di democrazia e di rispetto istituzionale, un Premier in queste condizioni avrebbe già lasciato l’incarico.
Lo ha fatto, ad esempio, António Costa in Portogallo, anch’egli socialista, che si è dimesso in poche ore quando due persone del suo entourage sono finite sotto inchiesta e arrestate.
Motivazione: «La dignità delle funzioni di un primo ministro non è compatibile con alcun sospetto sull’integrità, sulla rettitudine e ancor meno con qualsiasi tipo di atto criminoso».
Non è una sentenza questa mia, ma ricordate che in politica vale sempre il principio della “Moglie di Cesare…..”.
E per capire che aria tiri in Spagna vi consiglio di leggere l’editoriale di Javier Cercas, fine intellettuale spagnolo, oggi su El Pais.
Cercas osserva cheil presidente Sánchez afferma di non volersi dimettere perché consegnare il governo alla destra e all’estrema destra sarebbe “una tremenda irresponsabilità”.
Questa frase però equivale ad ammettere che sta governando senza il sostegno della maggioranza sociale, il che è inquietante: in democrazia non dovrebbe governare chi ha il consenso della maggioranza, che ci piaccia o no?
O preferiamo che governino “i nostri”, anche se sono in minoranza?
Cosa conta di più: la sinistra o la democrazia?
E ancora: può dirsi davvero “sinistra” una gauche che crede nella democrazia solo a intermittenza, solo quando le conviene?
Sanchez con il suo comportamento, con la sua decisione di “resistere” si allinea con l’idea che la sinistra sia moralmente superiore alla destra.
Non è così, e la Spagna di oggi ne è la dimostrazione più lampante.
Detto questo, l’affermazione di Sanchez di non voler lasciare per non consegnare la Spagna alle destre contiene due falsità
La prima: che il suo governo sia un argine all’estrema destra. Non è così.
Non solo perché, come dicono i sondaggi, gli scandali del suo governo stanno facendo crescere l’estrema destra di Vox, ma perché di fatto l’estrema destra è già nel governo: Junts per Catalunya, che sostiene Sanchez, deriva da un partito di destra che il “procés” ha trasformato in un partito di estrema destra.
Fare di quel partito un pilastro del governo è stato l’errore originario della legislatura, rendendola quasi impraticabile fin dal primo giorno.
La seconda falsità: che PP e PSOE (e perfino Sumar) siano partiti tra loro incompatibili, portatori di progetti opposti e visioni del mondo inconciliabili.
A giudicare dalle risse apocalittiche in Parlamento, alle Cortes spagnole, sembrerebbe così; ma non lo è affatto: la prova è che quando cambia il governo non si assiste mai a rivoluzioni o stravolgimenti di fondo, e che PSOE e PP governano insieme a Bruxelles da decenni, prendendo in comune circa il 70% delle decisioni che riguardano la Spagna (avete letto bene: circa il 70%).
Javier Cercas sostiene inoltre che non servano nuove elezioni; basterebbe che Sánchez lasciasse il posto ad un altro dirigente socialista, in grado di ristabilire fiducia, rilanciare il governo e portare il partito in condizioni migliori al 2027.
E magari aprire, come desidera la maggioranza degli spagnoli, a un patto di responsabilità tra PSOE e PP, non per “amarsi”, ma per fare finalmente le riforme serie (a partire da quelle contro la corruzione, che sta divorando la credibilità della democrazia).
Io credo, come Cercas, che Sánchez non si dimetterà, perché il potere acceca, e attorno a lui nessuno ha il coraggio di dirgli la verità, cioè che rimanere alla Moncloa è solo una forma di autodifesa, ma non un atto di responsabilità.
E qui torniamo all’Italia.
Partendo dalla destra, dove qualche inchiesta giudiziaria che ha lambito uomini o donne della maggioranza c’è stata, ma non ha prodotto, almeno finora, conseguenze rilevanti.
E arrivando fatalmente alla sinistra, a quell’ Elly Schlein che ha appena marciato a Budapest per il Gay Pride, attaccando Meloni, Orban e tutto l’asse sovranista con toni da Guerra Santa per i Diritti.
Ma mentre la segretaria del PD si bea del suo internazionalismo arcobaleno, continua a prendere ad esempio proprio un leader, Sánchez, che oggi rappresenta il contrario della trasparenza, della correttezza istituzionale e del rispetto delle regole democratiche.
Il problema non è solo morale, è anche strategico.
Oggi difendere Sánchez significa legittimare l’idea che la sinistra possa governare anche senza il consenso, anche sotto inchiesta, anche quando perde la bussola.
Come se l’unico obiettivo fosse evitare che governi “la destra”, e quindi poco importa il prezzo da pagare in termini di credibilità e democrazia.
Ma così facendo, si regala alla destra — e soprattutto all’estrema destra — un’enorme rendita politica.
Più Sánchez resta incollato alla poltrona, più Vox crescerà nei sondaggi.
Più la sinistra si convince di essere moralmente superiore, meno riesce a vedere le proprie storture.
E più Schlein prende esempio da Sánchez, più il PD si allontana da quella sinistra europea che ha saputo evolversi senza rinunciare ai propri principi.
Che poi, diciamolo, l’Italia non ha bisogno di copiare nessuno.
Non la Spagna, non la Francia, non la Germania.
Ha bisogno di sinistre serie, credibili, capaci di fare opposizione sui contenuti e non sulle caricature, e di governare non con slogan identitari da Centri Sociali ma con competenza, sobrietà e senso delle istituzioni.
Pedro Sánchez non è un esempio da seguire. È un avvertimento.
E chi continua a indicarlo come modello rischia di trascinare la sinistra — quella vera, quella che dovrebbe essere popolare, riformista e rigorosa — in una lunga traversata del deserto.













