14 Ottobre 2025 - 17.09

I vitelli, il biglietto da visita delle stalle venete ed il salvagente della linea da carne

 “La vitellaia è il biglietto da visita dell’azienda in quanto mostra la qualità della gestione e la sensibilità verso il benessere animale. Le buone pratiche nella fase giovanile contribuiscono alla credibilità dell’intera filiera (latte e carne). Sulle patologie e sulla mortalità in vitellaia incidono il livello di immunizzazione con l’assunzione del colostro, l’igiene e cura della zona parto, l’igiene e cura delle gabbiette/igloo e l’igiene e pulizia dell’attrezzatura utilizzata per la somministrazione del colostro prima e del latte poi”. Con queste parole la prof.ssa Flaviana Gottardo del Dipartimento Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova è intervenuta questa mattina alla Fattoria Pagiusco di Bressanvido (Vi), in occasione del convegno promosso da Arav, nell’ambito del Festival dell’Agricoltura sul tema “La gestione della vitellaia in una stalla sana: l’evoluzione della professione di allevatore tra nuove regole, buone pratiche, resilienza ambientale”, ponendo l’accento sul fatto che “uno studio del 2017 eseguito in cento stalle venete ha rilevato un’alta percentuale di vitelli non colostrati correttamente (41%), prevalentemente a causa di ritardata somministrazione del colostro o da un’insufficiente quantità a fronte di una buona qualità dei colostri ed il 36% delle aziende aveva una mortalità superiore al 10% nei primi 12 mesi di vita e concentrata soprattutto nel primo mese”. Concetti, questi, rappresentati nel progetto “Stalla Sana”, che la prof.ssa Gottardo ha illustrato in occasione dell’incontro moderato dal direttore di Arav, Walter Luchetta ed introdotto dal presidente Foriano De Franceschi. “Il contesto attuale ci impone di contenere il rischio di antibiotico-resistenza attraverso un uso prudente dell’antibiotico, migliorare le prestazioni ambientali e gestionali dell’azienda. Attraverso il progetto Stalla Sana – ha spiegato la prof.ssa Gottardo – intendiamo valorizzare, sviluppare e diffondere buone pratiche di allevamento, così da migliorare il benessere animale, ridurre il ricorso al farmaco e migliorare la redditività aziendale, Obiettivi che si possono raggiungere adottando le migliori tecniche di gestione per aumentare il livello di benessere animale, inserendo innovazioni nella pratica quotidiana come ad esempio la diagnostica di campo, strumenti di acquisizione e interpretazione dei dati, formazione del personale ed effettuando analisi tecnico-economiche  sugli interventi attuati”.

La biosicurezza negli allevamenti è imprescindibile, come ha spiegato il dr. Antonio Barberio, responsabile del Laboratorio Diagnostico della Clinica dell’Istituto Zooprofilattico: “Le diagnosi non risolvono il problema delle malattie. La biosicurezza negli allevamenti gioca un ruolo determinante. Un’attività che si può sintetizzare in tre azioni: diagnosi precoce con individuazione agente causale (laboratorio diagnostico), diagnosi sia da animali in vita e animali morti ed applicazione di misure di prevenzione per evitare la diffusione della malattia. Nella vitellaia è fondamentale agire tempestivamente quando si presenta un’infezione, isolando subito l’animale malato attraverso la bio-compartimentazione. Sulla carica infettante occorre agire efficacemente con la pulizia e la disinfezione, per eliminare l’agente scatenante, ricordando che la colostratura dei vitelli e la vaccinazione rappresentano elementi di prevenzione ineludibili”.

Parallelamente, l’uso dei farmaci dev’essere attento, come ha aggiunto il prof. Matteo Gianesella del Dipartimento Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova: “I medicinali antimicrobici non sono utilizzati in modo sistematico né impiegati per compensare un’igiene carente, pratiche zootecniche inadeguate o mancanza di cure, o ancora una cattiva gestione degli allevamenti. Nella vitellaia occorre adottare misure di biosicurezza (interna ed esterna), limitare lo stress (stress climatici, ventilazione, lettiera), prendersi cura dell’igiene di ambienti, strutture ed attrezzature, evitare sovraffollamento e adottare una colostratura e una nutrizione adeguata. I medicinali antimicrobici sono utilizzati per profilassi in casi eccezionali, per la somministrazione a un singolo animale o a un numero ristretto di animali quando il rischio di infezione o di malattia infettiva è molto elevato, mentre sono impiegati per metafilassi solo quando il rischio di diffusione di un’infezione o di una malattia nel gruppo di animali è elevato e non sono disponibili alternative adeguate”.

Concetti che hanno un forte impatto sull’informazione e sulla popolazione, in quanto non vengono mai correttamente trasferiti, come ha spiegato il sen. Luca De Carlo, presidente della Commissione Agricoltura del Senato della Repubblica: “Il mondo agricolo rappresenta solo il 2,5 per cento degli occupati, per questo abbiamo una grande difficoltà a trasferire messaggi chiari e trasparenti alla popolazione generale, specie a chi vive in città e non percepisce alcune situazioni, tra cui il pericolo dei grandi predatori, in particolare il lupo. Serve una Regione forte, che abbia il coraggio di trasmettere un messaggio: bisogna abbattere di più, perché non possiamo continuare a portare in malga le nostre vacche per sfamare i lupi. Tutto ciò se vogliamo un’agricoltura sostenibile, che si prenda cura dei territori e continui a garantire produzioni di qualità alle quali siamo abituati”.

L’esempio portato dal prof. Massimo De Marchi del Dipartimento Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’Università di Padova ne è la riprova: “La zootecnia mondiale produce il 5 per cento dei gas totali e negli ultimi anni abbiamo assistito ad una forte riduzione, ma questo dato ci fa comprendere che non possiamo risolvere, da soli, il problema del surriscaldamento globale o dell’inquinamento ed è fondamentale informare i cittadini. Con il progetto Fame sulla predizione delle emissioni di metano nella bovina da latte, per una genetica a supporto dell’allevatore, abbiamo sviluppato dei modelli di predizione per determinare i livelli di emissione di ogni animale, così da lavorare sul miglioramento genetico. Il progetto, infatti, ha permesso lo studio fenotipico e genetico della produzione di metano nella popolazione di vacche da latte in Veneto ed i fenotipi raccolti hanno mostrato un’adeguata variabilità per obiettivi di miglioramento genetico e sono nelle mani delle Associazioni Nazionali Allevatori per il miglioramento genetico a livello di popolazione”.

Che ci sia ancora parecchio lavoro da fare l’ha evidenziato il dr. Luigi Bertocchi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna: “Nell’ultimo decennio la mortalità dei vitelli è rimasta stabile al 9-10 per cento, quindi ogni anno su 1.250.000 vitelli nati oltre 100 mila muoiono. Un numero inconcepibile, se si pensa che la vitellaia ed i vitelli dovrebbero essere considerati una risorsa per l’azienda, tanto più oggi in un’ottica di interesse economico rappresentata dalla linea vacca-vitello”, ponendo l’accento sul fatto che “l’utilizzo non appropriato del colostro, così come una generale scarsa attenzione per la vitellaia, sono gli elementi che portano a questi numeri preoccupanti. Nelle stalle gli indici di miglioramento sono sensibili, ma sui vitelli siamo fermi al palo da decenni e questo deve preoccupare e, soprattutto, deve portarci ad un’inversione di tendenza. Le azioni concrete da porre in atto sono chiare: occorre adottare una buona gestione del colostro, effettuare la vaccinazione delle vacche a fine gestazione contro gli agenti della diarrea neonatale e delle patologie respiratorie, effettuare il cambio frequente della lettiera e la disinfezione dei locali e adottare rigorose misure di biosicurezza nell’area dei vitelli”.

A chiudere l’incontro sono stati il dr. Andrea Comacchio, direttore Area Marketing territoriale, Cultura, Turismo, Agricoltura e Sport della Regione Veneto, che ha ringraziato ufficialmente Arav per la capacità di interlocuzione e confronto manifestata negli anni, quindi il presidente De Franceschi, che ha posto l’accento su come “l’evoluzione della professione di allevatore, richiede un’attenzione crescente ai dettagli, alla diagnosi precoce e al benessere animale, elementi fondamentali non solo per la salute degli animali, ma anche per la sostenibilità economica e ambientale delle aziende zootecniche. La raccolta, l’analisi e l’applicazione corretta dei dati ci permettono di prendere decisioni più informate, di migliorare le pratiche operative e di anticipare eventuali criticità. In un’epoca in cui l’innovazione tecnologica è alla portata di tutti, il vero valore aggiunto risiede nella capacità di interpretare i dati, di condividerli e di agire di conseguenza”.–

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