Extremadura, laboratorio di una destra che non sa più dirsi moderata

Umberto Baldo
Ieri si sono svolte le elezioni nella Comunidad autonoma de Extremadura.
María Guardiola, Presidente della Comunidad, del Partito Popolare, aveva convocato gli extremegni alle urne per chiedere una maggioranza più ampia che le permettesse di non dipendere dagli ultras di destra per governare.
Una situazione nata quando nel giugno 2023 fu costretta a rimangiarsi le sue dichiarazioni anti-Vox, e che aveva raggiunto il massimo della tensione con il mancato accordo sui bilanci, oltre che per le condizioni imposte dal leader di Vox Santiago Abascal (rinuncia a Green Deal e a politiche di genere e stretta all’immigrazione).
Alla luce dei risultati direi che c’è un modo elegante di raccontare come sono andate le elezioni in Estremadura, ed uno onesto.
Quello elegante dice che ha vinto il Partito Popolare.
Quello onesto dice che ha vinto Vox.
Il PP ha guadagnato un seggio (ne aveva 28, ore ne ha 29) l’ultradestra ne ha guadagnati sei (ne aveva 5, ora ne ha 11).
Se questa è una vittoria moderata, qualcuno ha perso il vocabolario.
Maria Guardiola aveva promesso di liberarsi dal ricatto degli ultras nostalgici del franchismo.
Ha ottenuto l’effetto opposto: ora ne è prigioniera a tempo pieno.
Certo, formalmente potrà anche essere eletta Presidente senza un voto esplicito di Vox, ma non governerà nemmeno un bilancio senza il placet di Abascal.
Ed è qui che il PP entra nella sua contraddizione strutturale: presentarsi come forza moderata mentre assume, un passo alla volta, pezzi dell’agenda radicale.
È la stessa trappola che ha bloccato Feijóo a Madrid.
È la solita storia della destra spagnola: vincere le elezioni per poi scoprire di aver ceduto l’agenda politica a chi urla di più.
Il Partito Popolare (PP) insiste nel definirsi “argine” all’ultradestra, ma ogni elezione racconta il contrario.
Vox cresce insieme al PP, non contro il PP.
Cresce perché sa che alla fine qualcuno aprirà la porta, normalizzerà le sue parole d’ordine, ammorbidendo le formule e indurendo le politiche.
È già successo. Succederà di nuovo.
Ed ogni volta la linea di confine tra destra democratica e destra radicale diventa più sottile, più opaca, più ipocrita.
Dall’altra parte, il PSOE completa la sua opera di autodistruzione territoriale.
Dopo 36 anni di governo ininterrotto dell’Extremadura con maggioranza assoluta, riesce nell’impresa di sparire quasi senza combattere (e non si intravvede come possa invertire nel breve periodo una débâcle che lo ha portato a perdere oltre 100.000 voti e 10 seggi in appena due anni e mezzo (da 28 seggi scende a 18).
Nessuna proposta forte, nessuna leadership credibile, un candidato più noto per le aule di tribunale che per le idee.
Poi ci si stupisce se gli elettori scappano.
Il problema non è Vox che cresce, è la sinistra che si ritira lasciando campo libero.
Il paradosso è che Pedro Sánchez può persino rivendicare politicamente questo risultato: più Vox significa più paura, e più paura significa più utilità del suo racconto nazionale.
Ma è una vittoria cinica e miope. Un partito che perde pezzi di Paese mentre difende la centralità del leader sta solo rimandando il conto.
E il conto, prima o poi, arriva anche a Madrid.
Detta in altre parole, un partito che perde regioni storiche (pensate che per i socialisti spagnoli l’Extremadura era come l’Emilia Romagna per il Pci adesso Pd) mentre difende la propria narrazione centrale sta segando il ramo su cui è seduto.
Prima o poi la propaganda finisce, i territori restano.
Attenzione però a non insultare l’intelligenza degli elettori.
Sarebbe un errore leggere il voto estremegno come un referendum pro o contro il “sanchismo”.
Gli elettori hanno votato su problemi concreti: infrastrutture che non arrivano, lavoro che manca, campagne che invecchiano, giovani che se ne vanno.
Se la politica nazionale si limiterà a usare l’Estremadura come simbolo, farà lo stesso errore di sempre.
Perché se la risposta della politica è uno scontro ideologico permanente, l’ultradestra ringrazia e incassa.
L’Estremadura oggi non è un’eccezione: è un avvertimento.
Dimostra che la moderazione proclamata non basta più, e che governare con l’ultradestra — anche fingendo di non farlo — produce un solo risultato: renderla sempre più forte.
Il PP ora ha una scelta chiara.
Governare davvero, o continuare a fingere di tenere a bada un alleato che in realtà sta dettando le regole.
Finora, la seconda opzione ha sempre vinto.
Sottolineo che in generale è temerario, in Estremadura come altrove, cercare indizi sul futuro della Spagna in elezioni regionali anticipate.
Tuttavia, la situazione di fragilità del Governo Sánchez rende inevitabile che questi risultati vengano letti come una rilevazione della temperatura dell’intenzione di voto degli spagnoli nell’attuale congiuntura.
Si tratta delle prime elezioni dopo un anno e mezzo.
Nei prossimi mesi seguiranno nuove verifiche per gli esecutivi del PP in Aragona, Castiglia e León e Andalusia.
Con la sua brusca svolta a destra dopo decenni in cui era stata un serbatoio della sinistra, l’Estremadura ha mostrato ieri l’ascesa di Vox, e la possibilità che i presunti moderati finiscano per fare proprio l’ “ideario” ultra del partito di Santiago Abascal, spesso in contrasto con i valori democratici.
Non proprio una bella prospettiva.
Umberto Baldo













