Elezioni 2025: tutto già scritto. Tranne la rivolta silenziosa dei veneti senza partito

Chi ieri pomeriggio ha avuto la pazienza di seguire qualche talk show del lunedì elettorale avrà notato un dettaglio rivelatore: a un certo punto conduttori, ospiti e politologi arrancavano. Non sapevano più cosa dire.
Del resto, con tre Regioni — Campania, Puglia e Veneto — dove i candidati vincenti hanno doppiato senza pietà gli sfidanti, che dibattito puoi mettere in piedi?
Spaccare il capello in quattro, sì, ma sul vuoto pneumatico.
Così, fatalmente, la discussione si è trasferita altrove: alle politiche del 2027, ai futuri equilibri di coalizione, alle cento ipotesi di nuova legge elettorale, al futuro del campo largo ed al duello eterno PD–5Stelle.
Quando il presente è scontato, ci si rifugia nella fantapolitica.
Per una volta non sto nemmeno a riportare le percentuali: sono così impietose che rischiano di diventare crudeli per chi ha perso.
Le tre Regioni sono andate dove tutti sapevano che sarebbero andate: il centrosinistra tiene il Sud, il centrodestra si riprende il Veneto.
Cvd, direbbero i matematici: come volevasi dimostrare.
Ma essendo veneto, e conoscendo meglio casa mia che Campania o Puglia, qualche riflessione più mirata me la concedo.
Un dato interessante è sicuramente il ritorno della Lega davanti a Fratelli d’Italia.
Alle Europee sembrava un corpo esanime, schiacciata al 13,1% dal 37,6% meloniano.
Questa volta, però, niente da fare: è tornato il vecchio schema, con “El leòn” che supera il partito della Premier.
E qui il motivo non è un mistero: si chiama Luca Zaia.
Capolista in tutte le province, trascinatore instancabile, uomo ancora amatissimo.
Senza di lui la Lega sarebbe un’altra storia, e non è detto che sarebbe stata una storia lieta.
Il secondo elemento, quello davvero inaspettato, è il risultato della lista “Resistere Veneto 2025”, guidata dal candidato Presidente Riccardo Szumski.
Molti, probabilmente fino a ieri, non sapevano nemmeno chi fosse.
Ma chi ha memoria delle battaglie (talvolta tossiche) dell’era Covid se lo ricorda eccome.
Argentino di nascita, origini polacche, cuore veneto “di là dal Piave”, il 73enne Szumski è stato sindaco di Santa Lucia di Piave, un paesino di 9mila abitanti nel trevigiano, dal 1994 al 2002, e poi dal 2012 al 2022.
Politicamente un passato da leghista, ma della parrocchia veneta: quella autonomista, indipendentista, allergica alle svolte salviniane ed ai diktat lombardi.
Con queste caratteristiche non stupisce che sia sempre stato vicino ai movimenti territoriali del trevigiano, quelli dell’indipendentismo duro e puro, o dei sogni federalisti, accantonati progressivamente dai Segretari Federali che succedettero a Umberto Bossi.
Detta in altre parole, migliaia di veneti non hanno più un partito da votare: troppo autonomisti per FdI, troppo identitari per il PD, troppo allergici a Roma per chiunque.
Così Szumski è diventato il contenitore perfetto per questa diaspora politica.
A questi trascorsi partitici va aggiunto un particolare non trascurabile; che di mestiere Szumski faceva il medico di base.
Poi la pandemia lo ha trasformato nel simbolo dei dissidenti: contrario all’obbligo vaccinale, promotore di terapie alternative, infine radiato dall’Ordine nel 2021 per il rilascio di “certificati di esenzione dalla vaccinazione”, e per aver effettuato “cure domiciliari non previste in alcun protocollo anti Covid” (vicenda ancora sub judice).
Eppure, nelle sue zone, non è mai stato un paria.
Anzi: molti lo difesero apertamente, raccontando di un medico che correva da un paziente all’altro quando altri non rispondevano al telefono, e chiedendone il reintegro.
Al di là delle sue vicende personali, io credo che il successo di una lista presentata all’ultimo momento, senza sostegni alle spalle, senza comitati elettorali, in elezioni regionali caratterizzate da una forte polarizzazione, non si possa spiegare semplicemente come “la riscossa dei no vax”.
Sarebbe a mio avviso troppo semplicistico, anche se non sono mai stato indulgente contro i renitenti al vaccino.
Io ci vedo altro, molto altro.
Nel lungo regno di Zaia, molte istanze venete — indipendenza, autonomia, identità culturale, insofferenza fiscale verso Roma — sono state quasi congelate, messe tra parentesi.
Finché c’era lui, grazie alla sua personalità aperta ed alla sua capacità di comunicazione, molti di quei mondi si sentivano comunque ascoltati.
Ora che il Doge lascia il trono, il gelo si sta sciogliendo.
E tutta una fetta di elettorato si ritrova senza casa.
Gente che mescola in uno stesso calderone: socialismo veneto da osteria, libertarismo, liberismo, indipendentismo, europeismo federalista, cristianesimo popolare, folklore, difesa della lingua veneta.
Un mosaico ideologico apparentemente incoerente, ma fortissimo dal punto di vista identitario.
Szumski è riuscito — non so nemmeno se volutamente — a diventare la voce di questo popolo orfano.
Il suo programma, d’altronde, è semplice e diretto: Sanità pubblica e vicina, Regione autonoma e responsabile, libertà di scelta e rispetto dei diritti fondamentali.
E quando parla, parla chiaro: “È ormai evidente la deriva di una gestione impostata al risparmio con meno operatori e turni sempre più insostenibili. Medici ed infermieri fuggono nel privato soprattutto per difendere la loro qualità di vita. Nella sanità pubblica mancano gli approvvigionamenti, le liste d’attesa sono un problema enorme. E poi, diciamolo chiaramente, io non ho nulla contro il privato ma ormai è chiaro che se hai i soldi puoi curarti in tempo utile, se non li hai rinunci alle cure”.
Non servono trattati di filosofia: il suo è un messaggio che arriva, eccome se arriva.
Non mi stupisce che abbia raccolto 30.000 firme in pochissimo tempo, una montagna se non hai partiti o macchine organizzative dietro.
E infatti è diventato la vera sorpresa delle elezioni venete (tanto per fare un esempio la lista di Szumski ha ottenuto il 5,13%, contro il 2,20% del ben più noto Movimento 5Stelle).
Non mi aspetto che i due consiglieri di “Resistere Veneto” ribaltino il Consiglio Regionale. Non sarebbe realistico.
Ma in democrazia qualche voce dissonante, anche scomoda, anche spigolosa, è utile.
E da liberal democratico — lo dico da sempre — preferirò sempre un sistema con un dissidente in più che con uno in meno.
PS: Questa la ripartizione dei 51 seggi in palio
Consiglio regionale: la ripartizione dei seggi
- Lega – Liga Veneto – Stefani Presidente: 19 seggi
- Partito Democratico – Manildo Presidente: 9 seggi
- Fratelli d’Italia: 9 seggi
- Forza Italia – Autonomia per il Veneto: 3 seggi
- Szumski Resistere Veneto: 2 seggi
- Alleanza Verdi e Sinistra: 2 seggi
- Uniti per Manildo: 1 seggio
- Movimento 5 Stelle: 1 seggio
- Unione di Centro: 1 seggio
- Liga Veneta Repubblica: 1 seggio
- Civiche Venete per Manildo: 1 seggio













