12 Aprile 2019 - 13.27

Donne di cultura a Vicenza, istruzioni per l’uso

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Donne di cultura a Vicenza, istruzioni per l’uso (…di classe elevata, pianificano assalti ai buffet in confronto ai quali le strategie di battaglia di Alessandro Magno impallidiscono fino a scomparire…)

di Alessandro CAMMARANO

Chiunque abbia la ventura, per diletto o per professione, di frequentare gli appuntamenti culturali che hanno luogo in città avrà certamente notato che la composizione del pubblico costituisce, nella sua invariabilità, una delle poche certezze che Vicenza riserva.

Una ristretta cerchia, soprattutto quando si tratta di presentazioni di libri o di mostre d’arte, è costituita da uomini soli, di età indefinibile e vestiti di giacche di tweed – tessuto che oramai si trova solo alle isole Orcadi – spesso accompagnate da pantaloni di velluto a coste, simili a quelli che, se ce li compravano da bambini, passavamo la giornata a vergognarci. La loro missione è quella di “custode delle memorie cittadine”, alcuni ricordano di aver conosciuto Fogazzaro ai tempi in cui il poeta si opponeva all’arrivo del treno in città; altri scrivono poesie in dialetto, altri ancora vantano riscoperte di immortali tele di allievi e di garzoni di bottega di Jacopo Bassano.

Sono teneri, evidentemente fragili ma sostanzialmente innocui; quelle da temere sono le orde muliebri che affollano le sale da concerto, i vernissage, i convegni e talvolta anche i cineforum.

Donne agguerritissime, appartenenti alle classi più elevate e che della “presenza” hanno fatto una professione che negli anni si è andata affinandosi sino a diventare arte raffinata e pericolosa. Non sono necessariamente troppo in là con gli anni, anche se spesso si vestono come le loro bisnonne scegliendo improbabili camicette di voile in tinte pastello-polveroso o con stampe animalier, rigorosamente munite di fiocco e indossate su gonne poco sotto il ginocchio. Gettonatissimi anche i tailleurs, declinati in parafrasi e imitazioni che farebbero rabbrividire la divina Coco Chanel oppure di foggia monacal-sovietica.

Sulle scarpe non si transige: modello unico, tacco prudente, pianta larga a nascondere alluci valghi e “cipolle”, piccola fibbia o inserto di rettile; le più abbienti scelgono Ferragamo, una sicurezza, le altre si orientano per le più proletarie ma egualmente rassicuranti Valleverde che imitano Ferragamo.

Il trucco è parco, tendenzialmente declinato in tutte le sfumature del beige; si osa di più sugli ombretti, fino ad ottenere inaspettati effetti “chiromante”.

Sanno tutto, hanno visto tutto: ai concerti parlano della mostra che hanno visitato il giorno prima, alla mostra magnificano la conferenza di due settimane addietro, alla conferenza celebrano il concerto che ascolteranno, il tutto in un vortice incontrollabile da quale chiunque non appartenga alla loro cerchia è escluso a prescindere. Si conoscono da sempre, dai tempi dell’asilo, alcune vegliarde sono state professoresse di altre più giovani, diventate a loro volta insegnanti, formando un cerchio chiusissimo.

Il buffet che talvolta, sempre meno spesso visti i tempi di micragna che corrono, segue l’avvenimento culturale merita un capitolo a sé.
Nel corso dei decenni di frequentazione le signore bene hanno elaborato piani d’assalto al rinfresco in confronto ai quali le strategie di battaglia di Alessandro Magno impallidiscono fino a scomparire. Alcune attaccano frontalmente, altre circondano ai lati per poi accerchiare i poveri camerieri depredandone i vassoi, altre ancora, più subdole, adottano tattiche di chiara derivazione Viet Cong insinuandosi tra il resto del pubblico e la forma di parmigiano, da cui staccano tòcchi con cui si potrebbero condire quintali di tagliatelle. Digiunano per giorni, come una casta di monaci guerrieri, sono disposte allo sgambetto e più ancora alla gomitata nelle costole pur di raggiungere per prime la tartina preferita; ti abbattono senza pietà, ma sempre col sorriso beffardo di chi sa più di te.

Chi scrive le ama e le ammira, conscio che, neppure in un’era geologica, potrà eguagliare la loro arte sublime.

Alessandro Cammarano

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