Dazi – Turnberry, dove (tutta) l’Europa s’è calata le mutande

di Umberto Baldo
Chissà se Donald Trump, una volta chiuso il “grande accordo” con Ursula von der Leyen, non abbia alzato lo sguardo al cielo e, pensando alla defunta mamma scozzese, abbia sussurrato con un ghigno compiaciuto: “Mamma gliel’ho messo proprio nel c…. a questi parassiti europei”.
Si lo so, è volgare, è brutale! Ma è perfettamente in linea con il personaggio.
Non stupitevi, non scandalizzatevi: Trump è così.
E l’Europa? Peggio. Perché, mentre lui si sistema il ciuffo biondo sotto il vento scozzese, noi ci mettiamo in fila per essere presi a pesci in faccia.
Con entusiasmo.
La scenetta si è svolta a Turnberry, paesino sperduto della Scozia, noto più per il golf che per la diplomazia.
E sarà forse ricordato come il luogo dove l’Unione Europea ha ufficialmente detto addio alla dignità, presentandosi con i pantaloni già abbassati davanti al bullo yankee.
Non aspettatevi una disamina seria del contenuto dell’accordo.
Primo, perché un testo ufficiale non esiste (eh già, roba da bar, altro che vertice internazionale).
Secondo, perché conosciamo il personaggio: Trump è uno che oggi firma e domani sputa sulla firma.
È un politicante da talk show, non certo un Costituente.
E comunque, tanto per inquadrare la “portata storica” dell’accordo: l’Ue accetta dazi unilaterali al 15% su auto, farmaci e semiconduttori. In cambio? Una valanga di soldi nostri agli americani: 750 miliardi in energia, 600 miliardi in investimenti, un altro pacco di miliardi in armi con la bandiera a stelle e strisce. Sull’acciaio e alluminio? Niente da fare: i dazi USA restano al 50%.
Una sodomizzazione geopolitica con applausi.
Eppure Ursula — occhi lucidi, sorriso stirato — si dice soddisfatta: “Abbiamo creato certezza in tempi incerti.”
Certo, certezza che prenderemo bastonate e diremo grazie.
Certezza che la nostra Commissione europea è ormai un ufficio acquisti del Pentagono.
“Il 15% era il massimo che potevamo ottenere”. Ma ottenere da chi? Dal padrone?
Von der Leyen ci tiene a rassicurare tutti: “Trump è un negoziatore tosto, ma con lui si fanno accordi.”
Come dire: ci ha preso a schiaffi ma almeno ci ha guardato negli occhi mentre lo faceva.
Roba da sindrome di Stoccolma geopolitica.
Intanto, in Italia, destra e sinistra sono unite dallo stesso sentimento: l’incazzatura.
Meloni è in evidente imbarazzo (“Sì ma no ,ma forse vedremo i dettagli”), e il PPE, partito della stessa Ursula, borbotta con Manfred Weber: “Intesa che limita i danni.”
Sì, tipo un airbag in un frontale a 200 all’ora.
Ma perché tutto questo? Perché, come vi dico sempre, in politica nulla accade per caso.
La Ue aveva davvero il famoso “bazooka” per rispondere a Trump?
Sì, sulla carta. Bastava puntare i cannoni sul settore tech americano, usare lo strumento anti-coercizione, minacciare la sospensione della proprietà intellettuale. Ma poi Berlino ha detto: “Ops, non siamo pronti.” Perché — sorpresa delle sorprese — senza la tecnologia USA siamo fermi ai fax.
E allora avanti, col cappello in mano e le chiappe scoperte, perché nel frattempo Putin ruggisce, l’Ucraina brucia e i nostri leader, colti da crisi di panico strategico, hanno deciso che è meglio restare alleati di Washington che diventare satelliti di Pechino.
E Ursula, ha agito con mandato pieno?
Probabile. Perché nessun leader europeo vuole essere quello che riporta i dazi al 30%, con i trattori in piazza e i Confindustriali a invocare aiuti come prefiche.
Occhio però: politicamente il prezzo sarà alto.
Le proteste, le sceneggiate, le finte indignazioni da salotto TV sono già partite. Ma questo serve solo a mascherare una verità: l’Europa, oggi, è una farsa in cravatta.
Siamo passati da “sovranità europea” a “succhiare il calzino americano”. E sorridiamo pure.
E i nostri esportatori? Ora fanno le facce stupite, ma sapevano tutto.
Il 15% era sul piatto da mesi, e tutti — da Torino a Bologna — lo sapevano benissimo.
Quindi, per favore, risparmiateci il piagnisteo su “aiuti e compensazioni”.
Perché conosco il pollaio italiano: quando le galline non riescono a fare le uova, pretendono che le rimborsi lo Stato. I profitti? Privati. Le perdite? Pubbliche. Viva l’impresa, ma con il paracadute del contribuente. Alla faccia della “competitività”.
Volete mostrare che il “made in Italy” è davvero un’eccellenza?
Bene, dimostrate che anche col 15% di dazio, i nostri prodotti volano lo stesso. Altrimenti, non è eccellenza: è fuffa.
E se fossi un cronista sportivo, saprei già come titolare: USA – UE: 15 a 0. E autogol europeo al 90esimo.
Umberto Baldo













