Dal Reddito di cittadinanza al Reddito di dignità: copia e incolla alla “campo largo”

Umberto Baldo
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio”, si dice. E in politica capita spesso di verificarlo.
Anche adesso, mentre si scelgono candidati Presidenti e si definiscono i programmi per le prossime regionali, il vizio riemerge puntuale.
In Calabria, per esempio, il cosiddetto campo largo ha deciso di puntare su Pasquale Tridico, già ideatore del Reddito di Cittadinanza, e figura simbolo dei “contiani ex 5 Stelle”.
E non a caso il dibattito si è subito acceso attorno ad una proposta del candidato: il cosiddetto “reddito di dignità”, presentato come una misura di sostegno legata ad una riforma delle politiche attive del lavoro.
Peccato che sembri la copia carbone del vecchio Reddito di Cittadinanza.
La musica non cambia in Toscana.
Qui il governatore uscente Eugenio Giani, sostenuto da PD e 5 Stelle, ha rilanciato l’idea di un “reddito di cittadinanza regionale”.
E scommetterei che presto lo vedremo spuntare anche in Campania, nel programma del centrosinistra guidato da Roberto Fico, e perché no, anche in Puglia.
Come accadde a suo tempo con il Reddito nazionale, i promotori giurano che non costerà nulla ai cittadini, perché i soldi arriveranno dall’Unione Europea (“Ma mi faccia il piacere”, direbbe Totò).
La verità, però, è che in campagna elettorale tutto è lecito: si possono promettere pure miracoli a costo zero.
Ma in una Repubblica che non sia “delle banane” ci dovrebbe essere un limite al populismo, soprattutto quando si alimenta l’illusione di uno Stato o di una Regione che distribuisce assegni senza contropartita e a costo zero.
E come dimenticare cosa fu davvero il Reddito di Cittadinanza?
Nato per aumentare l’occupazione, venne presto piegato alla filosofia grillina del “prima diamo, poi controlliamo” (guarda caso la stessa del Superbonus 110%).
Risultato: furono finanziati evasori fiscali, detenuti, mafiosi, stranieri senza titolo di soggiorno, truffatori di ogni tipo, fannulloni di ogni sorta.
Non una misura per combattere la povertà, ma un sussidio che spesso scoraggiava il lavoro, diventando un concorrente diretto delle occupazioni meno retribuite, od un’integrazione al salario in nero.
Con il risultato finale che con il Reddito nessuno è stato “formato”, e nessuno è stato inserito al lavoro.
Le cronache sono piene di episodi grotteschi.
In Veneto migliaia di casi segnalati alla Guardia di Finanza.
Su TikTok, una truffatrice che rideva mostrando mazzette di banconote come fossero banconote del Monopoli.
O ancora l’indagine che scoperchiò il meccanismo di una banda di rumeni, capace di presentare 9.000 richieste con nomi di connazionali mai stati in Italia, spesso addirittura morti o ricercati, ma comunque “beneficiari”.
E allora la domanda è inevitabile: se lo Stato, con tutta la sua macchina burocratica, non seppe o non volle organizzare una rete di controlli adeguata, davvero crediamo che Calabria o Toscana possano far meglio con il loro “reddito di dignità”?
Io, lo confesso, qualche dubbio ce l’ho.
D’altronde lo dimostra un fatto: non appena l’attuale Governo ha ristretto le maglie del sussidio, chiedendo patti per il lavoro, corsi di formazione, controlli su reddito e patrimonio, le domande sono crollate.
Segno che per molti il gioco non valeva più la candela.
E, guarda caso, proprio mentre sparivano i famosi “navigator”, l’occupazione tornava a crescere.
Forse qualcuno che stava sul divano ha finalmente dovuto alzarsi e cercare un impiego.
In fondo la riproposizione del Reddito, con altro nome, risponde alla voglia italica di non aggredire i problemi , di prendere una scorciatoia elettorale, promettendo un po’ di soldi a pioggia, e chi ha veramente voglia di lavorare si arrangi.
Chiudo con una nota politica.
Nel 2019 il Partito Democratico votò convintamente contro il Reddito di Cittadinanza, criticando i 5 Stelle senza pietà.
Oggi, di fronte alla linea “da centro sociale” di Elly Schlein, lo stesso PD lo ripropone in salsa regionale.
Che cosa è cambiato? Forse solo una cosa: che ora al Governo ci sono i “fascisti”, e dunque tutto fa brodo per serrare i ranghi del campo largo.
Cambiare idea è legittimo, certo.
Ma non posso non pensare che, se per Enrico IV “Parigi val bene una messa”, per la segretaria dem “il campo largo val bene il reddito di dignità”.
Umberto Baldo
Ps: Potrei anche sbagliarmi, ma io ho la ragionevole certezza che la gauche non proporrà invece il “reddito di dignità” in Veneto e Valle d’Aosta.
Perché anche loro sanno bene che non si tratta di elargizioni particolarmente gradite ai cittadini del Nord, anche quelli di fede progressista.













