23 Maggio 2025 - 15.05

Controcorrente – “Il Giro d’Italia in città è una rottura di balle”

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C’è un copione che si ripete ogni anno, puntuale come le allergie primaverili. Il Giro d’Italia attraversa una città, e subito amministratori comunali, assessori e sindaci in fascia tricolore si affrettano a dire che è “una grande occasione per il territorio”, “una vetrina prestigiosa”, “una festa dello sport”. Frasi fatte che sembrano uscite dal manuale del perfetto politico ottimista. Ma se ascoltassimo davvero i cittadini, il ritornello suonerebbe molto diverso: “È solo una colossale rottura di balle”. Uno spunto che ci arriva da una segnalazione alla redazione, ma che trova probabilmente ampi consensi al di fuori del mondo del ciclismo.

Perché diciamolo: cosa resta davvero alla città che ospita una tappa del Giro? Una manciata di minuti – letteralmente una sfilata di ciclisti sfocati che passano a tutta velocità, irriconoscibili se non per il colore delle maglie. Li vediamo volare via e poi, puff, il nulla. Al massimo un po’ di elicotteri in cielo e qualche transenna da smontare. Intanto, interi quartieri vengono blindati, le strade chiuse, i trasporti deviati, i residenti costretti a inventarsi percorsi alternativi per andare al lavoro, a scuola o anche solo a fare la spesa. Certo, lo stesso fastidio si può traslare anche su eventi calcistici importanti, che spesso trascinano con sé orde di violenti e dementi ultrà che devono essere scortati e che ne approfittano per fare guerriglia. In questo caso il fastidio è maggiormente motivato.

Ma, al di là dei proclami ufficiali, basta scambiare due parole con amici, colleghi o parenti per rendersi conto che questa sensazione di fastidio è più diffusa di quanto si voglia ammettere. Lo dicono sottovoce, magari con un sorriso amaro, ma lo dicono. E se si ha occasione di parlare con qualche sindaco il cui comune viene attraversato dalla corsa, lontano dai microfoni e dalle telecamere, non è raro sentire commenti di disappunto per i disagi subiti dai cittadini, dagli automobilisti imbottigliati e dai commercianti penalizzati. Perché anche lì, dietro la facciata istituzionale, c’è consapevolezza che questa “festa” si porta dietro un conto salato. Lo stesso accade quasi annualmente con il Giro del Veneto e con la paralisi della città per il passaggio dei ciclisti.

Il tutto in nome di cosa? Del “prestigio” di vedere passare la carovana rosa? Ma davvero oggi, con la moltiplicazione degli eventi sportivi e la saturazione mediatica, il passaggio del Giro ha ancora un ritorno economico tangibile per i comuni ospitanti? Siamo certi che la vetrina televisiva (che inquadrerà il campanile del paese per 8 secondi) valga le ore di disagio per migliaia di persone?

Il Giro d’Italia resta una grande impresa sportiva, nessuno lo nega. Ma l’ipocrisia istituzionale nel celebrarlo a ogni costo, senza mai fare i conti con l’impatto reale sulle città, è diventata insopportabile. Nessun amministratore può dire pubblicamente che il Giro è una seccatura. Ma forse, in cuor suo, lo pensa anche lui. Perché non basta l’amore per la bicicletta a giustificare la paralisi urbana.

C’è bisogno di riconsiderare il modo in cui questi eventi vengono organizzati. Si può davvero fare di meglio. E intanto, ai cittadini tocca subirsi l’ennesima “festa dello sport” da dietro il parabrezza, bloccati nel traffico.

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