1 Settembre 2025 - 16.28

Bambini in aereo, inferno a bordo. Genitori idioti che li portano nei viaggi intercontinentali

Di Alessandro Cammarano

C’è chi ha paura delle turbolenze, chi teme il pollo in salsa “misteriosa” distribuite dalla hostess, chi non sopporta la claustrofobia. Ma l’esperienza più devastante del viaggio aereo intercontinentale non è nessuna di queste: è la presenza del neonato.

Il neonato non dorme, non tace, non rispetta i turni; è un’entità superiore che trasforma un Boeing in un girone dantesco. 

L’imbarco comincia sempre con la stessa scena: genitori convinti di essere pionieri della genitorialità, che spingono un passeggino grande quanto un SUV fino al gate, mentre il piccolo protagonista emette già i primi gorgoglii bellicosi. Tu li guardi con un misto di compassione e terrore… poi capisci: saranno seduti due file dietro di te.

Il decollo è l’inizio della tragedia. 

Le orecchie del pupo si tappano, lui non capisce, non può razionalizzaree urla, ma non urla come un bambino normale; ulula come un licantropo in una notte di plenilunio, con frequenze che arrivano dritte al cervello e scavano cunicoli nella materia grigia. Dopo venti minuti capisci che non c’è tappa asiatica abbastanza esotica da giustificare questa tortura collettiva.

A quel punto la cabina si trasforma in un teatro dell’assurdo.

 Il padre, con sguardo da santone zen, ripete “è normale, i bambini sono così” come se fosse un mantra salvifico, mentre la madre ti sorride complice, quasi volesse ringraziarti per la comprensione che non hai.

Tu stringi i braccioli del sedile e pensi che Alligator Alcatraz, in confronto, dev’essere un resort all inclusive.

Poi arriva la notte, quella parte del volo in cui tutti abbassano le luci, chiudono i finestrini, e tu speri di dormire. Illusione. Il neonato ha deciso che l’intera cabina debba condividere la sua insonnia: è il momento del pianto apocalittico, un concerto che nessun auricolare può coprire. 

Gli altri passeggeri cominciano a guardarsi complici, come prigionieri di guerra. Nascono alleanze silenziose tra sconosciuti: chi offre tappi per le orecchie, chi distribuisce gocce omeopatiche, chi valuta seriamente di aprire l’uscita di emergenza.

La beffa è che alla fine del viaggio, quando scendi con le occhiaie di chi è invecchiato dieci anni in dodici ore, i genitori si presentano sorridenti, freschi come se avessero appena fatto yoga. “Ha pianto un po’, ma dai, è andata bene!”, ti dicono. 

A quel punto capisci che la vera follia non è il neonato, ma l’egoismo dei grandi: hanno deciso che la loro creatura doveva andare in Cambogia, a tre mesi, perché loro non potevano rinunciare alle ferie esotiche.

Così, a bordo degli aerei intercontinentali, si consuma la nuova dittatura: quella del passeggino. 

E mentre scendi dall’aereo, stordito, con il timpano in fiamme, pensi: i veri eroi dei nostri tempi non sono gli assistenti di volo, non sono i piloti; sono i passeggeri che sopravvivono a un volo di 12 ore con un neonato a bordo senza diventare serial killer.

Ma se pensavate che fosse finita qui… beh, vi sbagliate di grosso.

Sì, perché se l’aereo intercontinentale è l’inferno, il resort è l’apocalisse. 

Tu immagini silenzio, onde che si frangono dolcemente, magari il fruscio delle palme mosse dal vento. Poi, improvvisamente, un acuto che neanche una sirena da catastrofe: è il piccolo Kevin che, dotato di braccioli fluorescenti, fa il suo ingresso in piscina come se stesse invadendo la Normandia. 

Dietro, papà e mamma che sorridono beati: “Guarda come si diverte!”. Tu guardi solo il cocktail annacquato e pensi che lui se la gode a mille, certo, ma tu un po’ meno.

La scena si ripete ovunque: nei templi millenari, con neonati che sembrano arpie all’attacco; nei ristoranti panoramici, dove un seggiolone di traverso blocca l’intera via di fuga; nei resort a cinque stelle, trasformati in asili nido a cielo aperto. 

Dall’alba al tramonto, un’umanità di piccoli urlatori e grandi incoscienti che considerano l’intero pianeta un’estensione del salotto di casa loro.

Il paradosso è che questi bambini non capiranno nulla di quello che hanno “visto”: Angkor Wat sarà solo un rumore indistinto tra due poppate, le spiagge di Phuket un ricordo evaporato tra un cambio pannolino e l’altro. 

L’unico ricordo indelebile lo porteranno i turisti vicini: dieci ore di volo insonne e una settimana di “mammaaaaa!” urlati in piscina.

Alla fine resta una sola verità, amara come un caffè solubile d’aeroporto: il mondo è grande, meraviglioso, pieno di luoghi da scoprire; ma se qualcuno decidesse di vietare i neonati sugli aerei e nei resort di lusso, diventerebbe persino vivibile.

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Testata Street Tg Autorizzazione: Tribunale Di Vicenza N. 1286 Del 24 Aprile 2013

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