Altro che equità: per gli svizzeri la patrimoniale è il banchetto dello Stato affamato

C’è una cosa che accomuna tutte le epoche e tutte le latitudini: quando qualcuno pronuncia la frase “tassiamo i ricchi”, la gente tende ad annuire.
È una formula magica, funziona sempre.
A maggior ragione se a proporla è qualche movimento giovanile di ispirazione socialista, con la faccia pulita e lo sguardo pieno di ideali climatici.
Eppure, perfino nella Svizzera che tutti dipingono come sobria, calvinista, rigida e perfettina, gli elettori hanno detto un “no” sonoro all’ennesima imposta sulle grandi ricchezze.
Non un no qualunque: quasi l’80%. Una slavina.
E dire che, in apparenza, la proposta era un colpo facile: tassare successioni e donazioni sopra i 50 milioni.
Roba che avrebbe colpito duemilacinquecento persone in tutto: lo 0,03% della popolazione elvetica.
Un’inezia demografica.
E il gettito sarebbe andato a salvare il pianeta, mica a comprare penne d’oro per i Ministeri.
“Dai, su, che male volete che faccia?”
E invece gli svizzeri non ci sono cascati.
Perché?
Perché hanno capito una cosa fondamentale, che molti, in particolare nella nostra Italia, terra di demagogie vetero comuniste, fingono di non vedere: una patrimoniale colpisce soldi che hanno già subito una valanga di tasse.
Quei patrimoni (esclusi quelli di derivazione malavitosa ovviamente) non spuntano come funghi: derivano da redditi già tassati, spesso con aliquote progressive, contributi, imposte di bollo, accise, balzelli, ticket, marche da bollo e chi più ne ha più ne metta.
È risparmio, non bottino.
E qui arriviamo al punto vero, quello che gli slogan non raccontano: lo Stato, quando “assaggia” i patrimoni, non si ferma più.
Non funziona come l’acqua minerale che disseta; funziona come le ciliegie: una tira l’altra.
O, per dirla nel linguaggio più realistico: per lo Stato l’ “appetito vien mangiando”.
Prima ti dicono “solo i super-ricchi”.
Poi “ma sì, allarghiamo un po’ la platea”.
Poi “serve per l’emergenza”.
Poi “serve anche per l’altra emergenza”.
Alla fine, ti ritrovi che ciò che doveva riguardare lo 0,03% diventa tranquillamente lo 0,3%, poi il 3%, poi il 30%. E così via.
E qualcuno dirà: “Ma che male c’è? Basta prendere ai ricchi per dare a chi ha meno”.
Peccato che il mondo non funzioni così.
Le patrimoniali non redistribuiscono: erodono il risparmio e premiano il consumo.
E un Paese che consuma tutto e non risparmia niente diventa un Paese povero, non solidale.
Un Paese che si mangia il capitale – proprio in senso letterale – perde il terreno sotto i piedi.
Crescita, investimenti, innovazione: tutto evapora.
Gli svizzeri lo sanno.
E sanno anche un’altra cosa, ancora più semplice: quando ti propongono una tassa che “tanto riguarda gli altri”, è il momento di drizzare le antenne.
Perché nella storia fiscale dell’umanità c’è una sola certezza: prima o poi, gli altri diventiamo noi.
E così, mentre altrove si continua a giocare al tiro al bersaglio contro i patrimoni – in Francia con Zucman, in Italia con le solite sirene della Cgil– gli svizzeri hanno preferito difendere un principio: il risparmio è sacro perché è già stato tassato, e perché alimenta la stabilità del Paese.
Non è egoismo: è buon senso. È memoria storica.
È evitare l’ennesima illusione collettiva: che lo Stato tassando “solo i ricchi” risolva qualcosa senza toccare gli altri.
Spoiler: non accade mai.













