Dazi – Trump pugnala l’Italia ‘amica’: per il Made in Italy un colpo da 10 miliardi

L’intesa raggiunta domenica tra il presidente americano Donald Trump e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen prevede l’introduzione di dazi al 15% sull’importazione di beni europei negli Stati Uniti. Un’intesa che, pur presentata come “storica” dai leader coinvolti, rischia di colpire duramente le esportazioni italiane.
Il nuovo quadro commerciale, che dovrebbe includere regimi agevolati ancora in fase di definizione per alcuni settori, rappresenta comunque una svolta con forti ripercussioni per l’economia nazionale. In base ai dati del Centro studi di Unimpresa, l’impatto stimato per l’Italia si aggira attorno ai 10 miliardi di euro, su un export verso gli USA che nel 2024 ha superato i 66 miliardi. A lanciare l’allarme sono anche Svimez e Confindustria: si parla di un rischio per 200mila posti di lavoro, specie nei comparti più esposti.
I settori più colpiti
Il dazio del 15% si applicherà in modo generalizzato, con alcune eccezioni. La meccanica, l’agroalimentare, la moda e i beni di lusso rischiano un drastico calo di competitività. Il settore farmaceutico, che temeva uno scenario peggiore, dovrà comunque subire le nuove tariffe: l’Italia esporta ogni anno negli USA circa 10 miliardi di euro in farmaci. Prevista l’esenzione solo per i generici.
Anche i semiconduttori saranno soggetti ai dazi, tranne alcune apparecchiature ad alta tecnologia. Per quanto riguarda l’industria automobilistica italiana – 4 miliardi di export annuo – la riduzione dei dazi dal 25% al 15% viene vista come un “male minore”.
L’agroalimentare, che vale circa 8 miliardi di euro annui di export verso gli Stati Uniti, è tra i più vulnerabili: alcuni prodotti come Parmigiano e Grana Padano erano già soggetti a dazi specifici, ma altri rischiano ora di veder salire i prezzi al consumo, con conseguente perdita di quote di mercato. L’elenco dei prodotti che potrebbero beneficiare dell’esenzione è ancora in discussione.
Energia e materie prime
L’intesa include anche un capitolo sull’energia: l’UE si è impegnata ad acquistare 750 miliardi di euro in tre anni di gas naturale liquefatto e petrolio dagli Stati Uniti, per ridurre la dipendenza energetica da Mosca.
Zero dazi, invece, sono previsti su alcune materie prime strategiche – come litio e terre rare – cruciali per i settori della difesa, della transizione digitale e dell’energia. Una scelta che risponde alle crescenti tensioni geopolitiche e alla necessità di rafforzare le catene di approvvigionamento comuni.
Acciaio e alluminio restano al 50%
Nessuna modifica invece per acciaio e alluminio, che manterranno l’attuale dazio del 50%. Per l’Italia, l’impatto è considerato marginale: l’export siderurgico verso gli USA si era già fortemente contratto dopo l’introduzione delle tariffe del 2018.
Effetti sul sistema economico
Secondo le stime più recenti, l’impatto dei nuovi dazi sul PIL italiano sarà contenuto: circa un decimo di punto percentuale tra il 2026 e il 2027. Ma gli effetti sulle imprese esportatrici saranno immediati: i costi aumenteranno, i margini si ridurranno e molte aziende potrebbero dover scegliere se assorbire gli aumenti o scaricarli sui consumatori americani, rischiando di perdere competitività.
Nel frattempo, restano in sospeso alcuni nodi, come il futuro della web tax italiana, di cui non si è discusso nel corso dell’incontro a Turnberry. Un dettaglio non irrilevante in un’intesa che, per quanto definita “equilibrata”, lascia aperte molte incognite per l’economia europea e italiana.













